La Forleo non è al di sopra di ogni sospetto

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La Forleo non è al di sopra di ogni sospetto

La Forleo non è al di sopra di ogni sospetto

02 Novembre 2007

Gli articoli di Piero Ostellino sul ‘Corriere della
Sera’ sono, per il liberalismo, un po’ l’equivalente delle unità di misura
conservate a Sèvres. Nell’editoriale di martedì 30 ottobre, Tante amnesie sui giudici in TV, poi, l’incipit è davvero magistrale: «Che i
magistrati debbano parlare solo attraverso gli atti processuali è una buona
regola di civiltà del diritto e di carattere generale che dovrebbe valere per
tutti e in ogni circostanza. Da noi, è diventato un luogo comune al quale una
parte della classe politica e dei media ha apportato una eccezione per farlo
diventare ancora più comune. ‘Comune’ inteso nell’interesse di tutti gli
appartenenti a una parte politica, rispetto a ‘generale’ (nell’interesse di
tutti). L’eccezione è questa. Ora che a essere indagati sono esponenti del
centrosinistra, è bene che i magistrati rispettino la regola generale, evitando
di andare in televisione a esporre le proprie convinzioni, perché ‘nessuno
mette in discussione l’indipendenza della magistratura’».  Come può un liberale non essere d’accordo?

E
tuttavia, Ostellino forse non fa abbastanza i conti con l’evento epocale che ha
segnato la vita del nostro paese, nello scorcio del secolo scorso. La sua
natura e la sua dinamica possono così riassumersi: la magistratura milanese,
delegittimando un’intera classe dirigente -democristiani, ‘laici minori’ e
socialisti-, col plauso di un gran numero di italiani, giustamente indignati e
preoccupati dai costi della politica (specie in un periodo di recessione,
quando le tangenti ai partiti non potevano essere più compensate da sicuri
profitti), col tempo, è apparsa a una buona metà del paese, essa stessa come un
partito, il ‘partito dei giudici’ appunto, e, in tal modo, ha finito per  autodelegittimarsi. Naturalmente stiamo
parlando  di ‘percezioni collettive’, non
della loro giustezza e fondatezza, sennonché, in politica, e soprattutto in
tempo di democrazia, le ‘percezioni collettive’ sono fatti. Fatti duri come le
pietre.

L’offensiva
contro la corruzione scatenata dai giudici, com’era prevedibile, ha suscitato
l’incomposta reazione dei politici messi alla gogna che, a loro volta, hanno
contestato l’ideologia di ‘mani pulite’, additandola all’opinione pubblica come
una sorta di via giudiziaria all’alternanza al governo – fenomeno, peraltro,
non nuovo nella storia europea, se si pensa al ruolo di accendino della
rivoluzione svolto dalla suprema corte di appello e di giustizia di Parigi, il Parlement, nel biennio 1787/1788. Sul
garantismo peloso degli inquisiti si sono spesi fiumi d’inchiostro e ancora
oggi gli scaffali delle librerie sono ricolme di cronistorie à la
Travaglio. Sul dubbio
comportamento della ‘controparte’, invece, le reticenze sono e continuano a
essere tante. Opportunamente Ostellino ricorda la mobilitazione massmediatica
fatta dalla procura di Milano in occasione del decreto Biondi (14 luglio 1994)
che tendeva a ridurre i termini della carcerazione preventiva. Il pool
«chiedeva di fatto e in diritto di poter
continuare a utilizzare la carcerazione preventiva come la ruota medievale. Per
strappare agli inquisiti una confessione. Su queste stesse colonne avevo scritto
che gli uomini del pool avrebbero dovuto dimettersi, invece di contestare
pubblicamente il Parlamento, se ritenevano di non poterne applicare un
provvedimento che, oltre tutto, (re)introduceva nel nostro ordinamento un
principio dell’Habeas corpus».

Col
governo di centro-sinistra, va da sé, il ‘partito dei giudici’ si è trovato….a
malpartito. «I
promotori delle varie ondate della fallita rivoluzione giudiziaria – ha scritto
Giuliano Ferrara sul ‘Foglio’del 31 ottobre – hanno aperto la caccia ai politici,
in modo da intimidirli e impedire ogni sera riforma dell’ordinamento
giudiziario. Ora potrebbero stare tranquilli. Non ci sarà selezione di merito,
le carriere, tranquillamente intrecciate, proseguiranno per anzianità, dei
testi psicoattitudinali non si può  neppure parlare |…| Insomma per i capi della
magistratura politicizzata sarebbe il momento di richiamare all’ordine. Ma
questa operazione di rientro nei ranghi si è dimostrata più ostica del
previsto. Per ingenuità o per caparbietà c’è chi non capisce o non vuol capire,
così se la prende coi ministri del centrosinistra con gli stessi metodi
spicciativi che una volta andavano tanto di moda». 

Ferrara
coglie certamente un aspetto reale dell’imbroglio italiano ma resta la
sensazione che nella guerra senza quartiere tra politici e magistrati, si
stiano formando alleanze e complicità trasversali volte a coprire, dietro il
tema cruciale delle ‘forme’ e delle procedure, comportamenti illeciti a destra e
a manca. In altre parole, il giustizialismo è vivo e vegeto ma lo sono
altrettanto prassi diciamo ‘scorrette’ per le quali finora hanno pagato un
prezzo salatissimo solo i  politici della
prima Repubblica. Il corpo giudiziario risulta, ormai, ‘desacralizzato’ e
nell’uomo della strada è sempre più forte il dubbio che esso sia davvero, sotto
il profilo etico e civico, migliore del ceto politico.

Tornando
all’editoriale di Ostellino: al punto in cui siamo, ci si può rammaricare del
mancato riserbo di magistrati che, nelle loro indagini, ritengono di aver messo
le mani su ‘qualcosa di grosso’, soltanto se si crede che oggi essi possano
svolgere il loro lavoro al sicuro, nelle serre protette dei tribunali, dove non
esistono corrotti e collusi ma solo funzionari integerrimi pronti a difendere
quanti rispettano le regole e a proteggerli dall’«ira
funesta» dei potenti
di turno. Nella  diffidenza di tutti nei
confronti di tutti – magistrati che sospettano nei colleghi gli agenti di
questo o quel ministro, politici che vedono nei magistrati la longa manus dei loro avversari etc. – si
può  solo auspicare che tutti stiano
sullo stesso piano, liberi di rilasciare interviste sui quotidiani, alla radio,
nei salotti televisivi: si tratti di De Magistris o della Forleo, di Mastella o
di Di Pietro. Massima libertà di esternazione per ciascuno, quindi, con la
riserva ovvia che ciascuno sia poi tenuto a rispondere, in sede giudiziaria,
delle accuse gravi eventualmente rivolte alla ‘concorrenza’ durante un talk-show.

Una
volta, però, sfoderata la vecchia lancia liberale della ‘libertà che sana le
ferite da lei provocate’, a nessun protagonista dovrebbe essere più lecito
rimanere sul piedistallo. Ospiti di Santoro o di Floris, di Lerner o di Vespa, i
magistrati, al pari dei politici, diano liberamente sfogo alle loro passioni
civili – autentiche o finte che siano – alle loro critiche, accuse e
contraccuse, ma senza pretendere di essere ‘al di sopra di ogni sospetto’, in quanto
funzionari del Diritto e del Dovere. La Forleo, è bene ricordarselo, intentò una causa ai
deputati Maroni e Calderoli che avevano osato criticare una sua sentenza sul
terrorismo – equiparato alla resistenza; altri giudici di punta hanno
denunciato decine di deputati e giornalisti del centro-destra per averli
‘diffamati’. Eh no! Se si scende tutti in campo, se si vuole che la società
civile, invitata a partecipare allo spettacolo della reciproca
delegittimazione, faccia da arbitro imparziale, non debbono esserci gladiatori
che giocano a petto nudo e altri con la corazza dei loro ruoli istituzionali.

Il
mondo che a ragione Ostellino mostra di apprezzare – fatto di riservatezza, di
silenzi dovuti, di correttezza formale – non è certo quello da noi abitato pieno
di gente che si nasconde dietro i cadaveri scoperti negli armadi altrui. Nondimeno
se dobbiamo rassegnarci, malinconicamente, a veder portare in piazza la
giustizia, non rinunciamo a esigere che le piazze siano tante e che non ve ne
siano di aperte e di chiuse! Dal momento che si è cominciato a spalancare  certe  porte e finestre  non fermiamoci a mezza strada e spalanchiamo
tutte le altre. Malo periculosam
libertatem
quam quietum servitium.