La formidabile eredità di Tony Blair
15 Maggio 2007
Ci eravamo talmente abituati alla sua immagine che adesso faticheremo a immaginarci qualcun altro alla guida del governo britannico. Eppure è vero, dopo 10 anni al timone del suo paese, il Premier Tony Blair sta per lasciare. La durata della sua permanenza in carica è già di per sé rilevante per poter stendere un bilancio univoco e rapido di quanto il leader laburista sia riuscito o non sia riuscito a fare.
Certamente, non sono mancate nell’ultimo periodo forti critiche dovute alle evidenti carenze e relativi rischi della campagna in Iraq nonché ad alcune recenti vicende giudiziarie, ma è altresì ben noto che il potere – soprattutto quando esercitato a lungo – logora e il miglior modo per arrestare questo processo è abdicare.
Ma su una cosa critici e ammiratori non possono che essere d’accordo: la condotta di Tony Blair negli ultimi anni non solo ha prodotto una vera e propria rivoluzione economica e sociale nel paese isolano, che sta infatti vivendo un periodo di crescita elevata e persistente senza precedenti, ma ha lasciato anche una traccia indelebile nel modo di fare e di intendere la politica a livello europeo e mondiale. Al punto che i suoi colleghi degli altri Paesi (da ultimi anche i contendenti alle presidenziali francesi Royal e Sarkozy), indipendentemente dalla loro collocazione politica, finiscono per cercare in sé stessi e sottolineare le similitudini con quello che è stato il più brillante personaggio al cavallo del nuovo Millennio.
Sì, l’uso della parola “brillante” è più che mai opportuno. Perché, parlando di Blair, il primo pensiero va inevitabilmente al suo sorriso sempre presente sul suo volto. Un gesto semplice e puramente umano, ma di forte significato politico, come dimostrato dalla memorabile esperienza a Downing Street. In effetti, la novità assoluta che Blair ha rappresentato è da ricercare proprio lì – nell’approccio positivo ad ogni problema, nella tranquillità e nella serenità di un politico, sicuro di sé e convinto che quanto sta facendo sia la cosa migliore per il proprio Paese. Con tono pacato e con pragmatismo imbattibile, la figura del leader laburista più di successo nella storia è riuscito a imporre un tono costruttivo, grazie al quale ha promosso un notevole processo di modernizzazione in un Paese fortemente basato sulle proprie tradizioni. Sempre alla ricerca, come Blair stesso ha ribadito nel suo discorso di addio alla politica, “non di una risposta, bensì della risposta”.
Egli ha riformato la pubblica amministrazione, l’economia, il welfare con l’unico obiettivo di rendere l’intervento pubblico, ove strettamente necessario, il più efficiente ed efficace possibile. I risultati sono dinanzi agli occhi di tutti: crescita continua, bilancio in equilibrio, il più alto grado di apertura dell’economia tra i Paesi del Vecchio continente.
Tali elementi sono ovviamente da annoverare tra i successi di un uomo politico coraggioso. E come ogni personaggio audace, neanche Blair è stato immune da errori. E qui i critici si sbizzariscono: molti sostengono che al modo brillante di fare politica non siano seguiti risultati altrettanto brillanti o che all’abilità nell’articolare le paure e le aspirazioni della popolazione non sempre abbia corrisposto l’abilità di plasmarle. Da questo punto di vista, oltre al fallimento in Iraq, si potrebbe menzionare l’incapacità di convincere la società inglese a guardare con più convinzione all’integrazione europea. Infatti, nonostante le grandi speranze, la presidenza inglese dell’Ue nel secondo semestre del 2005 ha portato a ben poco, a causa anche della pausa di riflessione invocata dopo i referendum francese e olandese che hanno bocciato il Trattato costituzionale europeo. Queste difficoltà contingenti hanno portato altresì all’abbandono, almeno per ora, dell’idea dell’ingresso di Gran Bretagna nell’eurozona.
Ma i critici più accaniti, come sostiene il Financial Times, hanno una visione solo parziale della storia. Perché, politico parlando, l’eredità lasciata da Blair è veramente formidabile. La nascita del New Labour, l’apertura culturale e l’emancipazione di governo e società, l’abbandono di paradigmi ideologici oramai logorati e superati, la concessione di libertà e di autonomia, il profondo mutamento della tradizionale impostazione dello Stato attraverso la devolution (termine in questo caso utilizzato in maniera appropriata) e la riforma della House of Lords, l’attenzione imprescindibile ai problemi dell’ambiente costituiscono tutti gli elementi cardine del futuro della società britannica, ma anche europea.
E’ un futuro iniziato dal presente che al contempo nasconde qualche incognita. La prima è quella relativa alla capacità di leadership del successore naturale di Blair, il Cancelliere dello Scacchiere, Gordon Brown. Privo dello charme del suo amico e compagno di partito, quest’ultimo ha l’aria di un politico “più duro” e questo potrebbe essere interpretato in chiavi diverse alla luce del passato. Il suo problema principale si trova però all’interno del partito, dove l’ala di sinistra già sta pensando di sfidare la sua leadership, prima ancora che essa venga formalizzata. Tuttavia, una cosa è certa: i futuri leader britannici, come lo stesso Brown oppure il conservatore Cameron, saranno sicuramente contagiati dal “virus” di Tony Blair che si chiama “ottimismo”. Lo stesso Blair ha sottolineato che ha sempre creduto nella possibilità e nella capacità di migliorare le cose. Ora che ha deciso di farsi da parte, lo fa con responsabilità e fiducia nel futuro e sembra ripetere il verso della canzone che aveva accompagnato una delle sue campagne elettorali: “things can only get better” (le cose possono solo migliorare).