La Francia scopre che nelle sue prigioni s’insegna il Jihad

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La Francia scopre che nelle sue prigioni s’insegna il Jihad

11 Ottobre 2008

Alla fine di settembre il ministro degli interni francese Michèle Alliot-Marie ha presentato un report di 60 pagine sul “Fondamentalismo nelle carceri”. La guida è stata distribuita a 24.000 agenti penitenziari, poliziotti, gendarmi e giudici dell’antiterrorismo. “Per la prima volta i servizi di sicurezza algerini si sono associati al nostro lavoro”, ha dichiarato soddisfatto un responsabili degli Interni al quotidiano Le Figarò. Nel documento viene descritta la progressiva radicalizzazione islamista delle carceri francesi. Secondo l’Unità di coordinamento della lotta antiterrorista (UCLAT): “La documentazione presentata dal ministero degli interni descrive l’influenza delle origini, ma anche i processi di interruzione della carriera scolastica e di marginalizzazione dei migranti reclusi nelle prigioni francesi. Un insieme di fattori che giustifica il radicamento comunitario della popolazione carceraria e l’odio dei detenuti verso i valori democratici occidentali”.

Un altro rapporto dell’amministrazione penitenziaria ha messo in guardia dal contagio. “Les Barbus”, come li chiama Le Figarò, sono prigionieri molto attivi dietro le sbarre. Secondo i dati diffusi dal ministero almeno 450 detenuti islamici manifestano un comportamento sovversivo. Tra loro ci sono 76 condannati per atti di terrorismo e altri che scontano la pena per aver  dato sostegno logistico alle reti jihadiste. Gli ispettori del sistema penitenziario contano 147 detenuti che si dedicano ad “attività di proselitismo operativo” . Una nuova generazione che accende le fiamme della jihad nel gelido quadrato di una cella, cercando sponde nella piccola criminalità. “I religiosi clandestini hanno dato vita a un movimento che comunica su Internet”, spiega  un alto responsabile dell’amministrazione penitenziaria. Questa rete opera dall’interno e dall’esterno delle carceri. Spesso si tratta di gente che non ha neanche letto il Corano, ma diffonde abilmente frammenti deviati e violenti delle Sure, riprendendo tesi arcaiche e medievali per convertire più facilmente i detenuti. Il rapporto parla di almeno 200 detenuti “in via d’islamizzazione radicale”. Circa l’80% dei francesi di origine maghrebina. I problemi di alfabetizzazione e la scarsa istruzione della popolazione carceraria apre la strada all’assistenzialismo manicheo e occidentalista dei predicatori: circa il 10% dei giovani detenuti ha fatto studi superiori.

Secondo la magistratura antiterrorismo molti detenuti francesi si sono convertiti all’Islam in prigione. “E’ un grosso problema – spiega il ricercatore Farad Khosrokhavar, che ha scritto ‘L’Islam delle prigioni’ – se gli elementi radicali vengono raggruppati tutti nello stesso posto finiranno per cospirare. Ma se vengono dispersi nelle carceri allora contaminano gli altri detenuti. Converrebbe allora spostarli periodicamente per evitare che questi legami tendano a consolidarsi”. I predicatori non si fanno scrupoli a reclutare i loro confratelli tra i detenuti per reati sessuali. Inchinandosi all’Islam radicale, costoro non vengono più considerati come degli appestati ma si integrano in un nuova fratellanza, che gli consente di ottenere protezione e di evitare rappresaglie. “Vogliamo mettere fine alla sfida permanente lanciata alla nostra autorità penitenziaria – dicono al ministero degli interni – vogliamo sostituire la sharia con i nostri regolamenti”.

Il governo francese ha steso una lista di 23 indicatori che permettono di identificare la condotta deviante dei galeotti: l’ostentata diffusione di simboli e sigle ispirate ad al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), le fotografie di Bin Laden appese in cella al posto delle consuete pin-up, la lettura di opere religiose, il rifiuto di passeggiare o di mangiare con i “kafir”, e la tendenza a imporre la propria preghiera al prossimo. Svelare la nebulosa di queste pratiche serve a combatterle meglio. Secondo Khosrokhavar, “l’iniziativa del governo ha almeno il merito di sensibilizzare l’opinione pubblica e il personale penitenziario”. In realtà basterebbe inviare veri predicatori nelle carceri, per non lasciare più spazio a gente che usa la religione come un sostituto della violenza. Se mancano figure autorevoli è naturale che poi emerga un sentimento bellicoso che di religioso ha davvero poco. Oggi nelle prigioni francesi ci sono appena 100 imam su una popolazione carceraria che è fatta per metà di islamici. In compenso ci sono 600 cappellani cristiani. Questi numeri spiegano perché i predicatori dell’odio hanno gioco facile quando presentano la loro visione dell’Islam come “religione degli oppressi”. Forse sarebbe ora di verificare anche qual è la situazione nelle prigioni italiane.