La Gelmini è a metà dell’opera per riformare come si deve l’università

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La Gelmini è a metà dell’opera per riformare come si deve l’università

28 Ottobre 2009

Il Consiglio dei ministri ha dato il via libera alla riforma dell’Università. Mariastella Gelmini ce l’ha fatta. Ha vinto la sua partita, tutta interna al mondo accademico ma in parte combattuta anche nel suo stesso schieramento di governo. Ha riscritto le regole di gestione del sistema universitario perché, come ha specificato il ministro al termine del CdM, “dopo tanti anni c’era la necessità di un ammodernamento della normativa nel suo complesso” ed ha tirato fuori un provvedimento “corposo e organico”, che punta ad “affrontare in maniera seria e coraggiosa i problemi che esistono all’interno dell’accademia italiana nell’ottica di ridare maggiore peso e ad un’istituzione fondamentale per il nostro Paese, rendendola protagonista”.

L’ambizioso progetto del ministro risponde a due necessità: riconferire autorevolezza agli atenei italiani attraverso una politica di rigore e restituire il merito a chi veramente ce l’ha. A questi due obiettivi sono finalizzati molti dei provvedimenti contenuti nel ddl, che di fatto non minano l’autonomia degli atenei, ma obbligano le università a gestirla con maggior senso di responsabilità di quanto si sia fatto finora, sul piano dei bilanci ma anche su quello della didattica e della ricerca.

Sono finiti i tempi dei finanziamenti indistinti e a pioggia, d’ora in poi le università più virtuose, quelle che gestiscono meglio i loro soldi e offrono un livello più alto della didattica, otterranno più fondi dal ministero. Gli Atenei saranno obbligati ad avere una contabilità sana e trasparente, e per evitare che si creino insegnamenti e strutture inutili, ci sarà l’obbligo di accreditamento, con una verifica da parte del ministero di tutti i corsi di laurea e di tutte le sedi distaccate. Le università avranno, poi, la possibilità di fondersi o di confederarsi, anche in relazione a singoli settori di attività, in modo da abbattere i costi e aumentare la qualità della didattica e della ricerca. Per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili e non richieste dal mondo del lavoro si prevede una forte riduzione delle facoltà, che potranno essere al massimo 12 per università.

Il ddl prevede poi norme più rigide per il reclutamento della docenza universitaria, una parziale riforma della governance e un nuovo status per i ricercatori. La direzione è quella annunciata da tempo, ribaltare quella piramide che troppo a lungo ha soffocato l’università italiana, per una presenza a dir poco pletorica di professori ordinari, a scapito dei giovani e validi ricercatori che tentano, il più delle volte senza successo, anche solo di affacciarsi al difficile mondo della carriera universitaria.

Per scardinare i baronati che da decenni soffocano le potenzialità della nostra accademia, la Gelmini – che ha lavorato a questo testo fin dal suo insediamento, coinvolgendo a trecentosessanta gradi chi l’università la vive tutti i giorni, dalla Conferenza dei Rettori a docenti di ogni parte politica, agli studenti – ha messo mano a quella che si chiama la governance: Rettore, senato accademico, direttore amministrativo. Cambiano (in parte) i ruoli dei protagonisti del governo dell’università. I rettori non potranno rimanere in carica per più di 8 anni (un provvedimento che avrà effetti retroattivi), il posto del direttore amministrativo lo prenderà il direttore generale, che dovrà rispondere delle proprie scelte come un vero e proprio manager dell’ateneo. Non solo. Se spetterà al Senato accademico affrontare tutte le iniziative di carattere scientifico, sarà il consiglio di amministrazione, composto per il 40% da membri esterni, ad assumersi la responsabilità delle spese. Su questo punto, probabilmente si aprirà un fronte caldo. Perché c’è già chi polemizza su una eccessiva marginalizzazione del ruolo della docenza rispetto agli altri poteri del governo universitario. Docenza che potrebbe essere toccata troppo duramente anche da un altro provvedimento fortemente voluto dal ministro: il meccanismo meritocratico nella progressione in carriera e nella retribuzione dei professori.

Il ddl tocca, infatti, sia il reclutamento ma anche l’attività di didattica e di ricerca. Per la prima volta i professori saranno obbligati a certificare la presenza alle lezioni. Il ministero ha infatti fissato un monte ore annuo per i prof. a tempo pieno, che dovranno impiegare in attività di insegnamento puro, servizio agli studenti e ricerca 1.500 ore annue (di cui almeno 350 per la didattica e il servizio per gli studenti). A questo si aggiunge la novità più significativa: che gli scatti di stipendio saranno previsti solo per i docenti migliori, così come chi riceverà valutazione negativa potrebbe vedersi ridotto lo stipendio e non potrà partecipare come commissario ai concorsi. E’ inoltre previsto che gli studenti possano valutare i professori e questa valutazione sarà uno dei criteri che il ministero terrà in considerazione per l’attribuzione dei fondi ai singoli atenei.

L’ultimo punto: il ruolo dei ricercatori. La Gelmini dice che è il punto di forza di tutta la riforma, poiché restituisce all’università linfa vitale e dignità al ruolo di tutti quei giovani che col loro lavoro tengono in piedi la struttura malandata della nostra accademia. Per loro il ddl prevede una nuova forma di reclutamento con contratti a tempo determinato di 6 anni, secondo la formula del 3+3: se al termine di questo periodo il ricercatore sarà ritenuto valido dall’ateneo sarà confermato a tempo indeterminato come associato. In caso contrario terminerà il rapporto maturando però dei titoli utili per i concorsi pubblici. Viene poi abbassata da 36 a 30 anni l’età in cui si può entrare di ruolo in università, mentre lo stipendio – elemento questo che finalmente ci avvicina agli standard degli altri paesi – passa da 1.300 a 2.100 euro.

Le prime risposte alla riforma Gelmini non si sono lasciate attendere. Ma tra tutte quella più significativa appare proprio quella del presidente delle Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università italiane, Enrico Decleva: “La proposta di legge del Ministro Gelmini approvata oggi dal Consiglio dei Ministri – afferma Decleva – per l’ampiezza del suo impianto e la valenza riformatrice degli interventi previsti, rappresenta un’occasione fondamentale e per molti versi irripetibile per chi ha davvero a cuore il recupero e il rilancio dell’università italiana”. Un’ottima apertura di credito per il ministro, per molti aspetti inattesa e sorprendente. Ora la parola spetta al Parlamento. Ma qualcosa stavolta ci fa bene sperare circa le sorti della nostra sgangherata università.