La Gelmini scopre le carte e fa tremare i vecchi baroni
18 Giugno 2008
La lunga marcia del ministro Gelmini è cominciata. E’ cominciata ieri in Commissione Cultura della Camera dove la neo ministra ha illustrato gran parte dei provvedimenti con cui intende rivoluzionare il mondo universitario italiano. Il percorso è lungo e tortuoso, ma il ministro ha dalla sua almeno due fattori: il tempo e le idee. La crisi in cui versa l’università italiana è talmente grave che il ministro dovrà prendere decisioni in fretta per poi affrontare con tutto il tempo della legislatura l’annoso problema della resistenza al cambiamento che per decenni ha paralizzato il mondo universitario italiano. Una resistenza plurima, che proviene dalla corporazione dei docenti raggiunge uno zoccolo duro e inconsapevole di studenti, supportati dall’immarcescibile sindacato. E, almeno a giudicare dall’esordio la Gelmini – che molti avevano additato di scarsa consapevolezza del difficile ruolo che si è trovata ad affrontare – ha anche le idee chiare. Pochi ma decisivi provvedimenti all’insegna del trinomio merito-autonimia-valutazione che se realizzati daranno finalmente la svolta di cui l’università ha bisogno da anni.
Molti i punti toccati ieri: reclutamento della docenza, finanziamento delle università, valutazione delle attività di didattica e di ricerca, ma anche spoliticizzazione del sistema delle nomine, trasparenza e agevolazione per gli studenti indigenti e per i fuori sede nonché per i ricercatori in erba. Tutti grimaldelli che consentirebbero di creare degli spiragli nel sistema sclerotizzato dell’Accademia italiana.
Sul reclutamento della docenza il ministro sembra non avere dubbi. Basta coi concorsi locali, che consentono solo di incentivare un sistema di cooptazione per conoscenze, senza alcuna attenzione al merito e alle competenze, e al via il reclutamento a doppio filtro, che prevede una verifica nazionale di idoneità riconosciuta da parte della comunità scientifica nel suo complesso e la libera selezione da parte degli Atenei nell’ambito di una lista di docenti idonei. Una sorta di ritorno alla libera docenza, che dovrebbe rompere il vizioso circuito in cui si è involuta l’università italiana, in nome del quale una stessa persona svolge nella medesima università tutte le tappe della sua carriera accademica. “All’interno di una lista di idonei, in cui potranno essere inclusi anche professori che lavorano all’estero, italiani o stranieri – ha detto il ministro in commissione Istruzione alla Camera – le università sceglieranno autonomamente lo studioso più capace nella produzione scientifica, più adatto a richiamare finanziamenti dalle imprese e iscrizioni da parte degli studenti”. Un sistema di reclutamento in linea con la riforma di Letizia Moratti e che consente alle università di chiamare anche docenti che non provengano strettamente dal mondo accademico, ma le cui caratteristiche rappresentino un valore aggiunto per i corsi di laurea.
Sul 3+2 il ministro non ha dubbi: monitorare e razionalizzare i corsi è ormai d’obbligo. Nel nostro paese i corsi di laurea hanno raggiunto la cifra spropositata di 3200 di primo livello contro gli 800 della Germania. Una cifra inaccettabile. Il rischio, ha sostenuto la Gelmini, è che i corsi diventino a misura di professore e non di studente. Quindi, cancellare i corsi inutili, è la parola d’ordine, insieme alla razionalizzazione di master e dottorati, in modo che non rappresentino “un’area di parcheggio da cui pescare mano d’opera accademica a basso costo”.
Il Ministro parla anche degli studenti. E prevede la creazione di nuovi collegi per studenti fuori sede e un’erogazione più facile e di maggiore entità dei prestiti d’onore. Solo così, afferma il ministro, le università non saranno più esamifici ma comunità ”vive e stanziali” di studio e ricerca. Tra le intenzioni del ministro anche quella di differire il pagamento di parte delle tasse universitarie nelle prime dichiarazioni dei redditi. Ma non solo. Le singole università dovranno fornire sui loro siti web i dati sugli sbocchi professionali dei loro studenti, sulla produzione scientifica dei loro docenti e ricercatori e sulla customer satisfaction degli studenti. "Bisogna legare – ha detto Gelmini – una parte dei finanziamenti pubblici ai risultati ottenuti dall’università, alla qualita’ della ricerca e della didattica svolta nelle singole sedi. Vanno considerati indicatori, ad esempio, la capacità di utilizzare finanziamenti comunitari, il grado di apertura internazionale, il numero dei brevetti”.
Obiettivi ambiziosi ma non velleitari che non chiudono certo completamente la partita. Altrettanti punti rimangono ancora da affrontare, come la questione spinosa dei ricercatori, della governance universitaria, dell’autonomia degli Atenei, ma questo, a giudicare dalla determinazione del ministro, è solo il primo round.