La Gelmini s’è messa in testa di riformare sul serio l’Università

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La Gelmini s’è messa in testa di riformare sul serio l’Università

17 Aprile 2009

Non sarà una riformicchia. Una buona intenzione mal riuscita di quelle che si fanno solo per dare il segno di un cambiamento. Sarà un riforma seria e toccherà gran parte del sistema università nel nostro paese. A cominciare dal vertice e finendo alla base, passando per un metodo completamente nuovo di valutazione del merito e dell’efficienza degli Atenei italiani.

Mancano pochi giorni e verrà presentato in Consiglio dei Ministri il piano della Gelmini per cambiare l’università. Alcuni punti sono ancora da ritoccare ma sui provvedimenti – che sono ancora all’esame in queste ultime ore – c’è da scommettere che ci sarò davvero molto di cui discutere. Tre i pilastri toccati: valutazione, governance e reclutamento della docenza. Sembra ormai quasi certo infatti che il ministro presenterà uno schema di decreto sul funzionamento dell’Anvur, l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca, e due provvedimenti, uno concernente la riorganizzazione e valutazione del sistema universitario e l’altro che riguarderà il reclutamento e la progressione di carriera dei professori e dei ricercatori universitari. Per ora a trapelare è stata solo qualche indiscrezione Ma tutto lascerebbe pensare – solo l’articolato di legge può confermarlo – che il ministro, dopo aver passato quasi un anno a studiare che cosa non va nelle università italiane non si sia fatta intimidire più di tanto dall’onda della protesta e abbia tenuto il punto.

Innanzi tutto l’Anvur, per due motivi: perché la “fase due” dell’università italiana deve partire da una valutazione seria e rigorosa e perché, secondo le intenzioni del ministro, l’agenzia che si preoccupa di valutare lo stato dell’arte della università e della ricerca – e di erogare di conseguenza il fondo ordinario di finanziamento destinato alle università – dovrebbe cominciare ad essere operativa immediatamente dopo l’estate. Tempi stretti e tre principi che sottendono tutta l’attività dell’agenzia: efficienza, merito e trasparenza. L’Agenzia, voluta dal ministro Mussi e mai fatta realmente partire, verrà semplificata. Tra i compiti principali: valutare dall’esterno la qualità dell’attività degli Atenei e degli enti di ricerca pubblici e privati destinatari dei finanziamenti dello Stato; coordinare l’operato dei nuclei di valutazione interni a tali istituti; valutare i programmi statali di finanziamento e incentivazione alla ricerca. Spetta, inoltre, all’Anvur stabilire i requisiti per aprire nuove università, sedi distaccate  o corsi di studio.

Dal risultato della valutazione dell’Agenzia – che dovrà avvenire con la massima trasparenza, dicono dal ministero – dipende lo stanziamento delle risorse pubbliche destinate all’Università. Ad essere premiate saranno le realtà virtuose, che si spartiranno il 7 per cento di quei 7,5 miliardi di euro destinati a chi dà il segno di buona qualità del proprio operato. Non solo. Per non perdere di vista l’obiettivo, che è quello di restituire all’Italia una università degna di un paese come il nostro, ogni due anni l’Anvur dovrà stilare un rapporto che descrive lo stato di università e ricerca.

Ma non solo l’Anvur. Sul fronte della riforma della riorganizzazione del sistema universitario e del riordino del reclutamento e della progressione di carriera dei professori e dei ricercatori universitari la Gelmini ha intenzione di agitare parecchie acque. A cominciare dalla governance universitaria, un ambito che troppo spesso si è schiacciato sugli interessi di questo o quel gruppo di pressione interno (o esterno) all’Università. Nelle intenzioni del ministro sembra esserci in primo luogo la volontà di spezzare i vincoli corporativi e di difesa a oltranza degli interessi acquisiti da parte di chi ha sempre governato nell’università. Così come si dovrebbe tentare di limitare il più possibile l’influenza della politica locale sugli organi di governo dell’Università.

È previsto un nuovo sistema di contabilità economica e patrimoniale degli Atenei, che definisce i principi contabili, gli schemi di bilancio e che garantisce una sicurezza sul come si spendono i soldi nelle università. E con ogni probabilità si rafforzerà l’identità accademica e scientifica dei dipartimenti nei confronti della facoltà, tentando, di fatto, di restituire il potere nelle università ai professori universitari.  Altro capitolo che dovrebbe essere in agenda i concorsi, che da locali diventano nazionali. D’ora in poi, infatti, l’abilitazione della docenza dovrebbe avvenire attraverso un concorso unico, il superamento del quale permette agli abilitati di essere inseriti in delle liste da cui le Facoltà possono attingere per quattro anni. Nulla si sa ancora sul ruolo dei ricercatori e sui dottorati di ricerca. Ciò che è certo è che tra le intenzioni di questo ministro c’è quella di rovesciare la famosa piramide accademica che vedeva una base ristrettissima di nuove leve e un numero pletorico di docenti di prima e seconda fascia. A chi vuole davvero che nel mondo dell’università qualcosa cambi non resta che sperare.