Dopo due mesi e mezzo sono tornato a cena in un ristorante. La gioia di una parvenza di ritorno alla normalità è durata poco. Ben presto è stata soppiantata dall’amarezza derivante dalla comprensione che per molti la normalità è un miraggio: in quel ristorante, generalmente pieno, siamo rimasti in tre per tutta la serata. Per questo, il boccone, per quanto prelibato come sempre, è diventato amaro.
Uscendo dalla metafora, sembra a tutti abbastanza chiaro che a queste condizioni molte imprese rischiano di fallire portando milioni, tra imprenditori e dipendenti, verso la soglia della povertà. E di questo ce ne siamo accorti. Ci viene detto, giustamente, che è tutta colpa del virus. Eppure non è del tutto vero. Il virus non ha mica inibito le capacità di compiere scelte giuste in campo economico? Questo compete a chi governa. Se si pensa che un cittadino americano (perché nato negli Stati Uniti), da sempre residente ed occupato in Italia, ha ricevuto 1.200 $ in conto corrente solo perché cittadino statunitense, si comprende bene che decisioni sensate possono ancora avverarsi.
Ma non da noi. In Italia, due mesi sono state annunciati miliardi su miliardi tra contributi personali, a imprese, CIG e tanto altro. Annunciati, appunto. Nei fatti, però, non sono state pagate le CIG, i contributi ai professionisti e le altre forme di sostegno economico promesse, con la conseguenza che intere famiglie non ricevono entrate da quasi 3 mesi. Parlare degli aiuti alle imprese sarebbe come sparare sulla Croce Rossa in quanto per queste sono stati previsti finanziamenti (gli è stata data la possibilità di fare ulteriore debito) garantiti dallo Stato, ma che non vengono concessi/erogati o comunque non con l’”immediatezza” tanto pubblicizzata in quanto le stesse banche si trovano nella situazione di dover fare analisi approfondite sull’impresa (come avviene per la concessione di un normale finanziamento) al fine di evitare responsabilità penali.
Inoltre, oltre che promessi, i soldi devono valicare ben 98 decreti attuativi necessari per mettere a terra misure “straordinarie”. Roba da andare fuori di testa. Per tutte queste ragioni, una cosa ora è ancora più chiara: se si gioca sulla pelle dei cittadini, si getta benzina sul fuoco che sale piano piano dal sottobosco sociale. I cittadini non sono “vacche da mungere” alla bisogna, ne tantomeno caproni incapaci di comprendere che in questo modo gli aiuti arriveranno non arriveranno mai. E se dovessero arrivare, sarebbero insufficienti.
Ci viene detto che lo Stato non può permettersi di concedere anni fiscali bianchi in quanto ciò comporterebbe un grave ammanco per le casse dello Stato. Giusto! E guarda caso è lo stesso ragionamento che fa un normale cittadino o un’impresa che non ricevono entrate! Come si fa a continuare a concedere aiuti sotto forma di credito di imposta a imprese che non hanno entrate?
Abbiamo come non mai bisogno di far ripartire l’economia. Ma per fare questo c’è urgente bisogno dell’immediata erogazione dei soldi promessi a tutti coloro che hanno perso reddito a causa del lockdown (non intendo quindi l’assistenzialismo a pioggia), alle imprese, nonché la necessità di fornire certezze a cittadini e imprese al fine di far ripartire i consumi e salvare il tessuto sociale ed economico ormai ad un passo dalla disfatta totale.
Per fare ciò, ora bisogna compiere un atto di onestà (non ricordo bene chi si è appropriato di questa parola ultimamente salvo poi lasciarla un po’ da parte…): mettere fine alla distanza siderale che separa le chiacchiere dai fatti, la comunicazione social in pompa magna dai 98 decreti per attuare un provvedimento. Se non si colma questo gap, un piccolo fuoco potrebbe trasformarsi in un incendio.