La Georgia è solo la prima tappa della nuova politica imperialista della Russia in Eurasia
13 Agosto 2008
di redazione
A mano a mano che i carri armati russi si addentrano nel cuore della Georgia il mondo inizia a comprendere che le ambizioni napoleoniche di Vladimir Putin sono reali e tangibili. Dopo aver consolidato la sua transizione autoritaria assumendo la carica di primo ministro con il beneplacito di un presidente prestanome, Putin sta ormai premendo per riaffermare l’egemonia russa in Eurasia. Nelle sue mire c’è l’Ucraina, e perfino i paesi baltici potrebbero subire minacce se il nuovo corso resterà impunito. L’Occidente è chiamato a tracciare un confine, e quel confine è la Georgia.
Poco importa chi sia stato il primo ad aprire il fuoco nella regione separatista dell’Ossezia del Sud la settimana scorsa, perché Mosca sta sfruttando la questione separatista come un pretesto per demolire l’esercito georgiano, e se possibile destituire l’attuale governo democraticamente eletto. Lunedì le forze russe sono penetrate ancora più a fondo nel cuore della Georgia propriamente detta. Hanno aperto un secondo fronte a ovest prendendo le mosse da un’altra regione separatista, l’Abkhazia, e hanno occupato la città interna di Gori, a una sessantina di chilometri dalla capitale Tbilisi. Queste manovre tagliano in due il paese isolando i suoi porti, quasi tutti bombardati o paralizzati dalla Russia. Mosca ha rifiutato la proposta di cessate il fuoco prospettata dalle nazioni europee e firmata dalla Georgia. Gli aerei militari russi, per giunta, hanno bombardato aree residenziali e industriali, togliendo ogni credibilità alle accuse di Mosca secondo cui sarebbe la Georgia quella che uccide indiscriminatamente la popolazione civile. L’idea che la Georgia sia impegnata in un’operazione di pulizia etnica appare ormai come un piano di propaganda studiato a tavolino per coprire un’invasione preparata nei minimi dettagli. Migliaia di soldati e centinaia di carri armati, navi da guerra e aerei militari attendevano solo il segnale di Putin.
Lo scempio della Cecenia è stato brutale, ma questo è l’episodio più sfacciato dell’intero regno di Putin, la prima offensiva militare oltre i confini della Russia dalla fine dell’Unione Sovietica. D’altra parte esso risponde a uno schema consolidato di minacce e offese ai danni dei paesi vicini: interruzione della fornitura di petrolio e gas all’Ucraina, alla Bielorussia, alla Georgia e perfino alla Lituania, paese membro della Nato; guerriglia informatica contro l’Estonia; opposizione all’installazione di due postazioni antimissile in paesi dell’Europa orientale membri della Nato, anche se queste non avrebbero potuto in alcun modo neutralizzare il potenziale offensivo della Russia.
Non è un caso se mettiamo l’accento sulla Nato. L’invasione della Georgia è uno schiaffo all’alleanza dei paesi occidentali. Tbilisi, come Kiev, ha premuto per ottenere l’ammissione nella Nato. Putin ha scelto di passare all’azione mentre alcuni membri dell’alleanza atlantica, con la Germania in testa, tergiversavano per prendere tempo. È toccato per prima alla Georgia. L’Ucraina, che ha insistito perché la Russia spostasse dalla Crimea i quartieri generali della sua flotta nel Mar Nero, potrebbe essere il prossimo bersaglio.
L’alleanza deve rispondere con forza, e può cominciare a farlo già da oggi. I vertici della Nato hanno accordato alla Russia una riunione straordinaria prima di decidere il da farsi nel caso della Georgia, eppure non ci sembra di ricordare che la Russia si sia preoccupata di informare la Nato sui suoi piano nel Caucaso. Questo incontro è un’occasione per mandare a dire a Mosca che la candidatura della Georgia e dell’Ucraina sono tornate all’ordine del giorno, e che nel caso della Georgia l’alleanza sta vagliando tutte le possibilità, da un ponte aereo umanitario al sostegno militare, se la Russia non si ritirasse immediatamente.
La scommessa di Putin parte dal presupposto che l’Occidente avrà molto più bisogno di lui per rifornirsi di petrolio e scoraggiare le ambizioni nucleari dell’Iran più di quanto la Russia abbia bisogno dell’Occidente. Si sbaglia, non da ultimo perché la sua “cooperazione” nel caso dell’Iran consiste nell’aiutare Teheran a tergiversare e nel vendere ai mullah missili antiaerei ultimo modello. La Russia, inoltre, ha bisogno dei capitali dei paesi occidentali e della loro competenza tecnica per sviluppare la sua industria del gas e del petrolio, almeno quanto l’Occidente ha bisogno dei rifornimenti energetici russi.
Gli Stati Uniti e l’Europa devono affermarlo a chiare lettere. Costringere la Russia a opporre il proprio veto a una vigorosa condanna del proprio operato nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbe essere un modo di aumentare la pressione. E a proposito di pressione, dov’erano i pacifisti in questi giorni di guerra? Improbabile che siano tutti in Cina. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, tra l’altro, per Bush questa è forse l’ultima occasione per salvare gli ultimi resti di un’eredità in qualche modo positiva nei rapporti diplomatici con la Russia, nel quadro di un operato per il resto apprezzabile in Eurasia. Bush stesso ha patrocinato le neonate democrazie della regione, ma il segretario di stato Condoleezza Rice ha sbagliato di grosso nel giudicare Putin. Sarebbe un buon momento per ammettere pubblicamente l’errore e raccogliere intorno all’America di Bush le reazioni dell’Occidente.
John McCain si era fatto un’idea più esatta del presidente del consiglio russo, una buona dimostrazione del suo istinto in politica estera. Non è da ieri che il candidato alla presidenza degli Stati Uniti sostiene che la Russia andrebbe espulsa dal G8, e ieri ha prospettato ai paesi occidentali una vigorosa linea strategica che rasenta l’intervento militare. In passato Barack Obama ha mostrato di vedere di buon occhio l’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella Nato, ma il candidato democratico non ha ancora spiegato come reagirebbe all’attuale conflitto.
Gli Stati Uniti dispongono di un altro strumento per colpire la Russia in un punto sensibile: un dollaro più forte. La debolezza della valuta americana ha contribuito sensibilmente alla crescita record del prezzo del petrolio che ha inondato la Russia di petroldollari e fornito carburante alle ambizioni espansionistiche di Putin. Nella giornata di ieri i prezzi del greggio hanno continuato a cadere, scendendo al di sotto del 115 dollari al barile, e un’ulteriore deflazione della bolla contribuirebbe a rimettere in riga un Cremlino ubriaco di petrolio molto più di qualunque sanzione economica.
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