La Germania della Grosse Koalition non abbandona Kabul

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La Germania della Grosse Koalition non abbandona Kabul

13 Ottobre 2007

A Berlino scocca l’ora della responsabilità e ne esce un ‘Si’ convinto. Il Parlamento tedesco ha rinnovato in modo compatto il mandato per le truppe ISAF impiegate nella ricostruzione dell’Afghanistan e per i voli di ricognizione dei sei Tornado impegnati fino all’ottobre 2008 con un finanziamento di 500 milioni di euro. Sono circa 3000 i soldati impegnati in missione ma il mandato fino a ottobre 2008 prevede una presenza di circa 3500 soldati, 500 in più di quelli attualmente dispiegati sul territorio. Il gruppo della sinistra estrema, gli unici apertamenti contrari, hanno motivato il loro ‘No’ alla missione sostenendo che l’esercito tedesco appoggia la ‘Eskalationsstrategie’ della Nato, facendo emergere il loro latente antiamericanismo che in passato aveva rafforzato le fila della SPD di Schroder, isolando la Germania.

Nonostante le pesanti critiche pervenute dalle ali estreme dell’opposizione, nel corso del dibattito 453 deputati su un totale di 580 hanno votato a  favore della missione in Afghanistan, 79 contro e 48 si sono astenuti. Quasi all’unisono hanno votato CDU, SPD seguiti a ruota dai liberali di Westerwelle della FDP, assicurando la maggioranza dei voti. Contrari la sinistra estrema di La Fontaine e Gysi. Divisi e frammentati al loro interno, tra astenuti, favorevoli e contrari, i Verdi. I verdi nonostante il loro sostegno alla missione ISAF hanno preferito l’astensione a causa del voto congiunto della missione in Afghanistan con il ‘Tornado-Mandat’.

Il ministro della difesa, Franz Josef Jung (CDU), ha ricordato prima del voto in parlamento alla rete ZDF, come la missione fosse «pericolosa ma importante. I tedeschi devono sapere che è importante eliminare il pericolo alla radice prima che raggiunga dimensioni grandi come la Germania». «L’esercito- ha continuato il ministro- deve restare sul luogo fino a quando l’Afghanistan non sarà in grado di provvedere da sè alla sicurezza dei suoi abitanti».  E il capogruppo della SPD, Peter Struck, ha aggiunto che «noi dobbiamo restare in Afghanistan certamente ancora per dieci anni almeno». L’ambasciatrice afghana a Berlino Maliha Zulfacar ha subito ringraziato il parlamento tedesco per la solidarietà espressa al suo popolo.  

Secondo i Verdi e il gruppo della sinistra estrema, il governo sarebbe troppo concentrato sull’invio di truppe e troppo poco a proteggere i civili. Il capogruppo dei Verdi, Renate Künast, suggerisce di stabilire un contatto più stretto tra i militari e la popolazione e invita il cancelliere Merkel a recarsi in missione in Afghanistan per farsi un quadro della situazione. I portavoce della SPD e della CDU, in un comunicato congiunto, hanno dichiarato che c’è ancora molto da fare e che l’aiuto per svolgere funzioni di controllo sul territorio deve essere migliorato. «Senza I militari, ha dichiarato il ministro dello sviluppo della SPD, Heidemarie Wieczorek-Zeul, la ricostruzione sarebbe perduta».

 Il leader del partito liberale Guido Westerwelle ha duramente replicato alle ali estreme sottolineando come l’unico vero partito di opposizione alla Grande coalizione non ha esitato a sostenere la missione ISAF in Afghanistan assicurando il voto favorevole. «Si tratta della nostra stessa sicurezza. Lo facciamo per l’Afghanistan ma ancora di più per noi stessi». Colpisce il grado di maturità espresso dal Parlamento tedesco che in politica estera è andato oltre gli schieramenti, consapevole che l’interruzione della missione avrebbe favorito la vittoria del terrorismo a sei anni dal caduto regime dei Talebeni. Non sorprende il voto della sinistra estrema che si dimostra antisistema ma troppo isolata per condizionare l’esito del voto. Nell’ordinato Parlamento tedesco non passa inosservato lo scambio di battute tra il deputato della SPD, Gert Weisskirchen, verso il leader del Die Linke Gysi, «Avete forse dimenticato – dice Weisskirchen – che al Qaida ha iniziato  le sue stragi in Afghanistan?» E per tutta risposta riceve  come risposta un ‘buffone’ che si leva dalle file del partito di Gysi.

Nelle grandi democrazie occidentali nei momenti difficili, quando il Paese deve affrontare una minaccia esterna, l’opposizione si schiera con il governo per dar prova di unità nazionale e, se lo critica nei dettagli fa di tutto per richiamarlo ad una maggiore coerenza di comportamento nell’applicazione di una misura decisa nell’interesse della nazione. E’ questa politica estera nazionale che fa la forza, morale prima che materiale, di uno Stato moderno che suscita il rispetto dell’avversario. Spiace dire che oggi in Italia non è così.