La gestione delle emergenze ai privati? Un segno di modernizzazione
16 Febbraio 2010
La dice lunga sulla cultura politica italiana nel suo insieme la generale levata di scudi, da sinistra a destra, contro l’ipotesi di realizzare una Protezione Civile Spa. Il fatto stesso che l’articolo 16 del decreto, riguardante appunto la trasformazione dell’agenzia, sia stato "espunto" dal testo originario, come ha spiegato lo stesso Guido Bertolaso ieri in commissione Ambiente alla Camera, sta ad indicare che ormai è sufficiente parlare di “privatizzazione” per vedere la quasi totalità del ceto politico alzarsi come un solo uomo a difesa dell’esistente.
Pd e Italia dei Valori, sia chiaro, fanno il loro mestiere di opposizione, e quindi è normale che abbiano colto l’occasione delle inchieste di questi giorni per evidenziare i limiti dell’azione di governo. Ma poi è stato il centro-destra a spaccarsi in due, gettando alle ortiche la possibilità di innescare un processo di liberalizzazione in tale ambito. Dopo che nei giorni scorsi era arrivato il via libera del Senato (140 sì, 116 no e 11 astenuti, in ragione dei voti favorevoli di Pdl e Lega, quelli contrari di Idv e Pd e l’astensione di Alleanza per l’Italia e Udc), a difendere la posizione originaria del governo e del relatore alla Camera, Agostino Ghiglia, erano ormai rimasti in pochi.
Giulio Tremonti, Umberto Bossi e anche Gianni Letta (ma l’elenco di quanti hanno fatto un’inversione di marcia sarebbe lungo) nei giorni scorsi hanno sparato a zero sulla privatizzazione. Per capire la situazione bastano le parole del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: “Abbiamo una bella Protezione Civile con migliaia di persone. Non deve diventare una Spa, non deve sparire”. Ovviamente l’opposizione ha applaudito e l’Italia, ieri, ha perso un’altra occasione.
Ma è davvero scontato che cedere ai privati la gestione delle emergenze sarebbe stata una scelta infelice? Non direi proprio.
Nel delineare la Protezione Civile Spa la maggioranza di centro-destra stava per adottare taluni elementi del modello statunitense, dove la Fema (Federal emergency management agency) in linea di massima segue logiche privatistiche e opera all’interno di un quasi-mercato, dato che offre programmi assicurativi ai cittadini e in tal modo induce ad applicare standard di sicurezza che siano i più alti possibili, poiché ognuno cerca di essere responsabile al fine di versare premi contenuti.
In sostanza, l’ispirazione originaria muoveva dalla tesi – difficilmente confutabile – che il privato opera meglio e più agilmente del pubblico e che, in prospettiva, la stessa logica del profitto sarebbe in grado di potenziare la protezione, e non già di infiacchirla. Oggi il nostro sistema di protezione è affidato a burocrati e a volontari; molto meglio sarebbe che assieme ai volontari ci fossero non già dipendenti di Stato, ma professionisti selezionati da logiche di mercato e indotti a operare al meglio dal tipico sistema di premi e punizioni che contraddistingue gli attori delle imprese private.
C’è comunque un “ma”, e non si tratta di un “ma” da poco.
Almeno una parte delle difficoltà che oggi incontrava il progetto della Protezione Civile Spa consisteva nel fatto che il governo intendesse solo trasferire dal pubblico al privato le strutture attuali (o, meglio, una parte di esse). Mancava insomma un’idea strategica volta a introdurre concorrenza, responsabilità e competizione in questo ambiente. E dire che le idee non mancano.
Nei giorni scorsi, su “il Giornale”, Piercamillo Falasca ha ricordato come all’indomani del terremoto abruzzese da più parti sia stata avanzata l’ipotesi di sostituire il finanziamento dello Stato ai Comuni in occasione degli interventi di soccorso e delle opere di ricostruzione. La tesi è che il monopolio attuale andrebbe sostituito con l’obbligatoria adesione a contratti di protezione e assicurazione: “Con molto più zelo di quanto sappia fare oggi lo Stato, le assicurazioni private e la Protezione Civile Spa interverrebbero sul fronte della prevenzione, premendo presso lo Stato, le regioni e gli enti locali perché siano rispettati gli standard di sicurezza rispetto ai terremoti, alle inondazioni, alle alluvioni ed alle altre tipologie di calamità. D’altro canto, per poter pagare il meno possibile, sarebbero gli stessi proprietari di immobili – a cui si potrebbero aggiungere anche i proprietari di infrastrutture pubbliche – a pretendere che le autorità politiche non siano omissive o in ritardo nell’implementazione di piani di sicurezza”.
L’idea è che tutti restino protetti e assicurati, ma non necessariamente dallo Stato. Il compito potrebbe insomma essere affidato ad assicurazioni, alla nuova Protezione Civile e anche ad altre agenzie che si candidassero a predisporre analoghi strumenti di intervento.
Privatizzare la Protezione Civile era e resta importante, ma era ed è necessario che non si consegni per intero questo nuovo “mercato” a tale organismo, gestendo invece la progressiva transizione verso un mercato autenticamente aperto, che induca altre e nuove Spa a mettersi al servizio degli italiani.
In questo senso, sarebbe bastato comprendere due questioni elementari: e cioè che tanto la buona teoria economica quanto l’esperienza storica ci hanno insegnato che di media il privato opera meglio del pubblico, e che un monopolio privato ha una vita assai più dura e precaria.
Inaugurare la Protezione Civile Spa, in altre parole, sarebbe stato un passo importante verso la liberalizzazione del settore.