La giunta birmana ‘gioca’ con Onu ed Ue

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La giunta birmana ‘gioca’ con Onu ed Ue

12 Marzo 2008

L’ennesima spedizione in Myanmar di Ibrahim
Gambari, ex ministro degli Esteri nigeriano e inviato delle Nazioni Unite
nell’ex Birmania, si è conclusa lunedì nuovamente con un nulla di fatto.
Quattro giorni d’incontri con esponenti della giunta militare – anche se Than
Shwe, capo supremo, lo ha accuratamente evitato – e con Aung San Suu Kyi,
premio Nobel per la Pace agli arresti domiciliari e leader dell’opposizione
alla dittatura. Un altro buco nell’acqua: se infatti Gambari ha potuto parlare
con Suu Kyi per ben due volte, nessun vero passo avanti è stato compiuto per
spingere la giunta sulla via delle riforme democratiche.
 
La delusione per i risultati conseguiti dall’inviato Onu sta tutta nelle parole
del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon. La sua lettura della
situazione è chiara: “Ci sono stati dei progressi, ma non siamo riusciti a
ottenere tutto quello che avremmo voluto”. Nel corso di una conferenza
sull’Africa e sulla lotta alla povertà al Palazzo di Vetro di New York, Ban ha poi
spiegato con rammarico che Gambari non è stato ricevuto dal leader della giunta
Than Shwe, anche se ad accoglierlo ha trovato “insolitamente” importanti
esponenti del governo: tra loro, anche alcuni  degli autori della nuova
Costituzione.
 
Il viaggio di Gambari in Myanmar, infatti, è stato preceduto – e in parte
motivato – da notizie apparentemente sorprendenti. Il mese scorso, per mezzo
della tv di Stato, la giunta militare ha comunicato al paese che una nuova
Costituzione – redatta da 54 esperti – verrà sottoposta a referendum popolare e
che nel 2010 si svolgeranno libere elezioni multipartitiche: le ultime si
tennero nel 1990 e segnarono la vittoria di Aung San Suu Kyi, immediatamente
rinchiusa nella sua casa agli arresti domiciliari. Con queste iniziative, ha
fatto sapere Than Shwe, il Myanmar torna perfettamente in linea con la road-map
democratica del 2003.
 
Dopo l’iniziale stupore, critiche alle scelte della giunta sono piovute per
ogni dove: al centro della polemica, due questioni fondamentali. Primo: gli
autori della Costituzione (che nessuno, fa notare il partito di Suu Kyi, ha
ancora potuto leggere) sono vicini alla giunta di Than Shwe o diretta
emanazione di essa. Secondo: in caso di elezioni, Aung San Suu Kyi non potrà
candidarsi in quanto suo marito – il professor Michael Aris, venuto a mancare
nel 1999 – e i due figli sono inglesi.
 
Apertura di facciata e risultati già stabiliti? È quello che credono in molti,
a partire dai leader dell’opposizione. Secondo Zin Linn, portavoce del governo
birmano in esilio, “senza la partecipazione di Suu Kyi, dell’Ndl (National
League for Democracy: il partito di Suu Kyi, ndr) e dei partiti etnici il
popolo non accetterà questa costituzione”. Stando poi all’esperto militare Win
Min, intervistato dall’agenzia Mizzima, la giunta “sembra preoccupata da nuove
possibili proteste di massa, quindi questo è un modo per raffreddare la popolazione”.
 
Che di farsa si possa trattare lo pensano anche le Nazioni Unite. Scopo
dell’ultimo viaggio di Gambari era cercare rassicurazioni sulla presunta svolta
democratica della giunta: ma i risultati, dicono al Palazzo di Vetro, fanno
pensare al peggio. Ban continuerà “a pressare sul tema delle riforme, così che
il Myanmar possa andare incontro alle aspettative democratiche della comunità
internazionale”, ma il ministro dell’Informazione, Kyaw Hsan, ha detto a
Gambari che il Paese non devierà dal calendario delle riforme stabilito
unilateralmente dalla giunta: in diretta televisiva, il ministro ha dichiarato
che “parlando in tutta franchezza, la strada che abbiamo intrapreso è la
migliore e la più adatta per la nostra nazione”.
 
A Gambari è stato inoltre comunicato che la giunta non accetterà alcuna
interferenza sul contenuto della Costituzione. Un secco “no” è venuto anche in
risposta alla possibilità di inviare osservatori internazionali in vista del
referendum e delle elezioni del 2010. Secondo i generali, non vi sarebbe alcun
bisogno di osservatori esterni che monitorino i seggi, in quanto il Paese ha
“sufficiente esperienza” in fatto di elezioni. Ecco allora che – con il rifiuto
di tutte le proposte delle Nazioni Unite – tutti i nodi sono venuti al pettine:
la road map democratica della giunta è un espediente formale per tenere a bada
la comunità internazionale, nella completa libertà di manipolare (o annullare)
i risultati nel caso in cui non dovessero risultare graditi a Than Shwe.
 
Per i militari al potere, del resto, gli ultimi mesi sono stati molto
favorevoli. La stessa popolazione birmana – dopo le oceaniche manifestazioni
dello scorso autunno – sembra aver perso lo slancio di un tempo. La Reuters,
che ha recentemente pubblicato un reportage dal Myanmar, sottolinea come molti
monaci parlino ancora di rivoluzione e si dicano pronti a perdere a perdere la
vita per la libertà: il soffocamento militare delle ultime proteste, però, ha
sortito l’effetto di rompere le reti clandestine e i migliori progetti
rivoluzionari. Molti combattenti, ma nessun leader pronto a guidarli in maniera
efficace: questa è la situazione sul fronte interno, mentre sono ancora 700,
secondo  Amnesty International, i manifestanti
arrestati lo scorso autunno che si troverebbero dietro alle sbarre delle
carceri birmane
 
Se in casa è tutto tranquillo, gran parte del “merito” va soprattutto allo
scenario internazionale. L’Onu, abbiamo visto, è paralizzato: le sue timide
proposte vengono rispedite al mittente, mentre Cina e India continuano a
rendere impossibile un’efficace risoluzione del Consiglio di Sicurezza contro
la giunta di Than Shwe. I mass media, salvo sparuti reportage, hanno altro di
cui occuparsi: la rivolta dei monaci, che tante pagine ha riempito per
settimane e settimane, oggi non fa più notizia. Nessun risultato, nello
specifico, è venuto poi dall’Europa: se l’Onu continua (impotente) a trattare,
l’Ue sembra davvero aver dimenticato la pratica birmana. L’inviato di Bruxelles
in Myanmar, Piero Fassino, è in Italia per la campagna elettorale del PD,
invece di affiancare Gambari nella difficile opera di mediazione con il regime
asiatico, come gli era stato richiesto di fare. E’ probabile che Fassino stia
già pensando ad altro, se è vero, come rivelato in una nota da Peppino Caldarola (deputato del PD,
non ricandidato), che recentemente ha dichiarato “con toni insolitamente ‘paterni’: ‘A
Israele ci penso io’”. Euforia in Birmania, panico a Gerusalemme.