La giustizia è al verde, ma i fondi per le intercettazioni aumentano
05 Giugno 2008
Non ci sono i soldi per i cancellieri. Non ci sono i soldi per la benzina delle auto di servizio di magistrati e scorte. Non parliamo dei denari per gli uomini della polizia giudiziaria che svolgono le indagini o almeno dovrebbero farlo. Non ci sono neanche i soldi per comprare nuovi computer più aggiornati. Però i fondi per il capitolo intercettazioni telefoniche, quelli si trovano sempre. 224 milioni di euro per il 2006, 280 milioni di euro per il 2007. Con un aumento del 20 per cento e una cifra che raggiunge ormai un terzo dell’intero bilancio annuo a disposizione di via Arenula per amministrare, si fa per dire, la giustizia.
I dati li fornisce lo stesso ministero sul link delle statistiche e ci sono anche quelli su chi fa intercettare di più. E ci vuole poco a indovinare le procure più calde, basta leggere sui giornali da dove vengono le telefonate dei politici più o meno eccellenti: Catanzaro, Potenza, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Catania e Reggio Calabria. Parafrasando Cartesio ogni procura nel suo piccolo ragiona così: “intercetto ergo sum”. Negli altri paesi le autorizzazioni vengono date solo per i reati di terrorismo e per quelli di criminalità organizzata, magari anche quella finanziaria. Certo non per incastrare la mamma di Cogne o per sapere se D’Alema aveva o non aveva una banca. O se Mastella si incontrava o meno con Antonio Saladino per discutere di affari e politica. E nemmeno per sapere se Moggi o chi per lui si comprava le partite di calcio.
E qui si viene al nodo della questione: questa mole di intercettazioni in realtà garantisce un enorme know how per tutte quelle toghe che intendono condizionare la politica e gli ambienti a essa contigui. Con una specie di talk show continuo. Il vero “grande fratello” lo fanno loro, mica Canale 5. La maggior parte delle intercettazioni che vengono depositate direttamente nelle tipografie dei giornali riguarda infatti episodi di malcostume economico e politico, ma anche esistenziale. Con una dose di pruderie sessuali che non guasta mai. Il tutto andando a caccia di reati che prevedono nel massimo della pena, quando non passano in prescrizione, pochi anni di carcere. Ne sa qualcosa l’ex portavoce di Fini, Salvo Sottile, crocifisso perché parlava al telefono in maniera volgare di donne di presunti facili costumi. E allora cosa cavolo si intercettano a fare tutte le conversazioni private delle varie Anne Falchi, Elisabette Gregoraci e compagnia parlante?
Il sospetto è che, quanto più clamorose siano le rivelazioni da Novella 2000 che si leggono sui giornali, tanto più qualcuno, dentro alla magistratura, faccia carriera o diventi il divo del momento. Senza che necessariamente tutta questa mole di chiacchiere telefoniche o ambientali costituisca reato di per sé. E pure quando lo costituisce spesso si tratta di reati di quasi nullo impatto sociale. Ai Rom che delinquono o ai microcriminali, per dire, non li intercetta nessuno.
I dati parlano chiaro: in Italia ogni anno vengono disposte non meno di 100 mila intercettazioni telefoniche o ambientali e per le compagnie questo iperattivismo è una vera e propria manna: Telecom, Vodafone, Tiscali, Tre e quant’altri vengono infatti pagati a cottimo e non a forfait. Per cui quanto più si intercetta tanto più esse incassano per un servizio che in realtà dovrebbe essere quasi dovuto verso quello stesso stato che fornisce le concessioni spesso a prezzi irrisori. Ma tant’è. Un giorno scopriremo anche chi ci mangia sopra nel mercato secondario della privacy e dei suoi derivati.
Per capire a che livello siamo giunti basti pensare che già nel 2006 l’Europa ci aveva ammonito: possibile che voi intercettiate 72 persone ogni 100 mila abitanti? Qualcuno dirà: in Olanda è quasi la stessa cosa perché si parla di 62 ogni 100 mila abitanti. Peccato però che gli abitanti dei Paesi Bassi siano molti molti ma molti di meno di quelli della nostra penisola, che sono praticamente quasi tutti a rischio cimice come in un vero e proprio stato di polizia. In Francia, per fare una proporzione più calzante, si autorizzano un quinto delle intercettazioni che nel Bel Paese e i cittadini le considerano già tantissime.
Si torna quindi al discorso di base: in realtà, ascoltare politici, vallette, mignotte, procuratori dei calciatori, calciatori, mamme di Cogne, truffatori, giornalisti e portaborse, non serve tanto alla giustizia quanto al data base di quella parte della magistratura che poi utilizza di fatto politicamente questa enorme dose di gossip per stare sempre alla ribalta con le proprie inchieste e fare così anche carriera. Più sull’apparenza che sulla sostanza.
L’Italia è piena di magistrati che aprono inchieste per qualsiasi cosa. E hanno una caratteristica: l’apertura delle indagini è garantita la chiusura e l’esito invece no. In compenso nelle more escono tante belle chiacchierate in libertà dei soggetti indagati. Che non serviranno magari nel processo ma per sputtanarli sulla stampa quello invece sì. E questo carosello assolutamente improduttivo dal punto di vista dell’efficienza della macchina della giustizia grava sull’intero apparato ormai in crisi cronica per un terzo del proprio budget. E’ una cosa seria tutto ciò?