La giustizia tributaria va riformata nell’interesse dei cittadini

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La giustizia tributaria va riformata nell’interesse dei cittadini

17 Settembre 2010

Le cause che ogni anno finiscono davanti alle Commissioni Tributarie, complice anche la crisi e la mancanza di liquidità per pagare le imposte dovute, sono in continuo e costante aumento. Lo scorso anno in primo grado sono arrivati infatti quasi 300mila ricorsi e l’arretrato, inevitabilmente, non riesce a diminuire.

Tra primo e secondo grado, infatti, le pendenze arrivano a più di 660mila con un incremento percentuale di quasi il 7% rispetto al 2008. La media per la conclusione di un contenzioso con il Fisco (alla fine dei tre gradi di giudizio) è del resto di otto anni e sette mesi.

Anche per tale motivo è stata dunque probabilmente introdotta la possibilità di chiudere le liti con il Fisco pendenti in Cassazione con il pagamento di solo il 5% del valore della pretesa vantata dall’Amministrazione Finanziaria, laddove però la causa duri da più di 10 anni e il contribuente abbia comunque vinto già i primi 2 gradi di giudizio.

I giudici tributari in organico sono del resto poco più di 4mila, con un decremento fisiologico annuo di circa 400 unità all’anno; mentre il numero di giudici ritenuto necessario a fronteggiare le esigenze della giustizia tributaria, secondo una recente indagine di una commissione paritetica tra Ministero e Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria, sarebbe di 6.668 unità. C’è da dire, d’altro canto, che non tutte le cause in giudizio sono relative a questioni di particolare complessità o attinenti a grandi questioni tributarie o per rilevanti importi.

Moltissime, infatti, attengono alla Tarsu, all’Ici, all’Irap e perfino al bollo auto o ai contributi consortili. Vi sono poi le richieste di sospensione delle cartelle esattoriali, a volte anche per importi di poche centinaia di euro. Insomma, una riforma radicale del sistema giustizia tributaria sembra improrogabile, magari anche attraverso l’emanazione di un codice che rinnovi e migliori le regole già stabilite con il Dlgs 546/1996.

L’art. 111 della Costituzione stabilisce infatti al comma 1 che "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge" ed al comma 2 che "Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata". Tali disposizioni valgono per ogni tipo di processo e quindi anche per il processo tributario. Il processo tributario nasce però, in origine, come contenzioso amministrativo. In passato infatti il processo tributario era concepito come la fase contenziosa dell’attività amministrativa di accertamento.

Solo a seguito del riconoscimento della giurisdizionalità delle Commissioni Tributarie fu dunque possibile recepire alcuni dei principi cardine di ogni tipo di processo, che, invece, erano fino ad allora esclusi dal processo tributario, quali, a mero titolo di esempio, la ripartizione dell’onere della prova tra le parti in giudizio e l’applicazione del principio del contraddittorio. Tali concetti hanno finalmente trasformato il processo tributario in un processo vero e proprio, concorrendo anche ad affermare una specifica (e scientifica) cultura del diritto processuale tributario. Ma questo è stato il frutto di una lenta conquista, ancora oggi in corso di evoluzione.

Se è vero del resto che l’interesse fiscale merita una tutela di particolare rilievo, essendo il dovere tributario un dovere inderogabile di solidarietà (vedi art. 2 della Costituzione), a cui sono tutti tenuti, sia pure non oltre la misura della capacità contributiva (vedi art. 53 della Costituzione), è anche vero che ciò non può giustificare deroghe al diritto processuale comune, solo perché, magari, "la materia tributaria, per la sua particolarità e per il rilievo che ha nella Costituzione l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi, giustifica discipline differenziate" (vedi Corte Cost., 23 luglio 1987, n. 283).

La tutela costituzionale dell’interesse fiscale, pur certo rilevante non dovrebbe quindi mai comportare attenuazioni del diritto di difesa, a sua volta tutelato dall’art. 24 della Costituzione e delle regole del giusto processo, oggi tutelate dall’art. 111 della Costituzione. Ma cosa significa avere diritto ad un giusto processo? A parere di chi scrive significa innanzitutto avere diritto ad un processo che si svolga dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale.

La legge di delega per la riforma tributaria, n. 825 del 1971, all’art. 10, n. 14), previde a tal proposito che il meccanismo di composizione delle Commissioni Tributarie fosse cambiato, al fine appunto di garantire l’applicazione imparziale della legge, nonché l’autonomia e l’indipendenza del giudice tributario. Solo con la riforma del 1992, poi, gli artt. 1 e 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dissipando ogni residuo dubbio in ordine alla natura giurisdizionale dei componenti delle Commissioni Tributarie (e quindi in ordine alla necessità della sussistenza dei relativi caratteri di imparzialità ed indipendenza), parlano di vera e propria "giurisdizione tributaria".

Nella costruzione di un vero e proprio processo tributario la direttiva di base fu dunque quella dell’"adeguamento" del contenzioso tributario alla disciplina del processo civile e del rinvio “residuale” alle sue regole.

Se però, rispetto a quando il processo tributario era considerato un mero contenzioso amministrativo, non si può negare che siano stati compiuti notevoli passi in avanti, resta tuttavia ancora lontano il traguardo di un effettivo ed efficace giusto processo tributario. Non so, onestamente, se la soluzione migliore possa consistere in una giurisdizione tributaria esercitata da magistrati di ruolo, nominati per concorso pubblico per esami, o se sia preferibile una giurisdizione esercitata da giudici onorari, come appunto accade oggi. Ogni soluzione presenta i suo pro e i suoi contro.

Certo, una modifica nella direzione di giudici togati tout court, ossia professionali ed a tempo pieno, potrebbe eliminare il problema della compatibilità dell’esercizio della funzione giurisdizionale con le attività professionali, ma è comunque bene evidenziare come, anche in tal caso, la possibile soluzione dovrebbe essere attentamente vagliata in tutti i suoi aspetti.

Attribuire, per esempio, la giurisdizione tributaria a sezioni specializzate dell’autorità giudiziaria civile significherebbe travolgerla con migliaia di nuovi processi dall’elevato profilo tecnico e, quindi, aggravare la crisi della giustizia ordinaria.

Senz’altro è possibile comunque prendere spunto dalla positiva esperienza della Sezione Tributaria presso la Corte di Cassazione, la quale conferma che la specificità della materia fiscale impone ormai che nel processo tributario operino tanto un soggetto qualificato e indipendente, che decida, quanto un soggetto, altrettanto qualificato e deontologicamente preparato, che assista in giudizio le parti e migliori quindi la qualità del contraddittorio.

I (diversi) progetti di riforma sono comunque già sul tavolo, nella speranza che possano contribuire alla definitiva affermazione di un giusto processo tributario.