La Gomorra d’Italia esiste ed è sommersa dai rifiuti
18 Maggio 2008
Le crude immagini del bellissimo “Gomorra” non escono facilmente dalla testa.
Quartieri completamente in mano all criminalità organizzata, ragazzini che emulano lo “Scarface” di Al Pacino e rapinano armi ai boss mettendosi dentro giochi più grandi di loro, urli delle “sentinelle” quando arriva assai raramente la polizia a invadere il territorio altrimenti proibito. Il tutto in un equilibrio fatto di routine e crimine. Con sicari che sembrano bagnini sguaiati di Positano o Capri. E con bambini di dieci anni che servono per smerciare extasy e cocaina al dettaglio in quanto non punibili.
Questa è la camorra post moderna già raccontata da Roberto Saviano nell’omonimo libro sulle faide del clan dei Casalesi in quel di Scampia e dintorni. E riportato per estratto sul grande schermo dall’ottimo regista Matteo Garrone con un interprete d’eccezione come Tony Servillo.
E in che cosa differisce la camorra post moderna da quella degli anni ’80 dei Cutolo e dei Zaza?
Si potrebbe dire che è tanto più feroce quanto più dilettantesca e meno orgnizzata. Tutti uccidono tutti. La pena di morte, come nelle campagne del nord della Cina, si eroga brevi manu per un sospetto, per uno sguardo, per una parola di troppo.
E i cinesi in Italia sono gli altri comprimari della tragedia che si consuma ogni giorno che Dio manda in terra sotto l’ombra del Vesuvio. La corsa al profitto, l’economia senza scrupoli, le truffe sullo smaltimento dei rifiuti tossici, la diffusione capillare della cocaina e della volgarità sono la cifra di tutto quell’ambiente.
Che viene raffigurato perfettamente nella scena iniziale della pellicola quando quattro boss vengono uccisi in un centro estetico dove stanno abbronzandosi sotto la lampada. L’unico momento di relax in una vita fatta di agguati reciproci.
Si spaccia droga per uscire con le macchine potenti, si uccide per dominare gli altri, si mandano i soldi ai detenuti come tradizione di famiglia. Ma il crimine non è il frutto del sottosviluppo o della povertà, quella casomai è la condizione della manovalanza di colore che lavora per i boss. No, nel film di Garrone come nel libro di Saviano si descrive il grado zero della subcultura di oggi. I nuovi disvalori che portano le persone a non cercare di migliorarsi ma solo ad emergere con la forza e la ferocia della violenza.
I personaggi sembrano tanti condannati alla sedia elettrica che vivono in un braccio della morte aperto al pubblico dove consumano con inaudito nichilismo quel che rimane loro da vivere senza mai l’ombra di un sorriso sul proprio volto. Si vive “al massimo”, ci si accoppia nei priveè della camorra con le puttane dell’est europeo o della Nigeria, si fanno rapine per ingannare la noia e si viene uccisi come cani e fatti scomparire nelle stesse discariche abusive dove si stocca illegalmente quell’immondizia diventata ormai una bandiera per la Napoli di Bassolino.
“Gomorra” è un film sconvolgente tutto recitato nel gergo dialettale della camorra che gli stessi napoletani perbene “schifano” e non capirebbero (né vorrebbero capire) senza i più che opportuni sottotitoli.
Due ore e venti minuti di angoscia dai quali il nostro immaginario collettivo tutto sommato egoista e indifferente non riuscirà a liberarsi tanto presto.