“La grande bellezza”, meglio Sorrentino sceneggiatore di quello regista
23 Maggio 2013
di redazione
"La grande bellezza", il film di Paolo Sorrentino sulla fauna "cafonal" di Roma, divide la critica e finisce nel tritacarne della stampa francese. Gli scettici scrivono che il film con Toni Servillo annoia già dalle prime scene e che le terrazze romane protagoniste della storia dopo un po’ fanno scendere il latte alle ginocchia, nonostante Servillo, Verdone, la Ferrari, e i tanti altri pezzi da novanta del nostro cinema chiamati a ruotare attorno a Jep Gambardella. Un film volutamenta barocco ma che di quel genere artistico sembra portare con sé anche i lati negativi, come pure la presunzione di offrire un affresco romanocentrico dell’Italia odierna. Il film è stato paragonato a "La Dolce Vita" di Fellini, ma al di là del citazionismo postmoderno non si va molto oltre. Sorrentino ha detto: "Non è la Dolce Vita, ma un romanzo vivente": Sorrentino è maestro narratore di storie ma stavolta la passione dello sceneggiatore sembra aver preso la mano al regista. Sorrentino dunque torna in Italia dopo "This must the place" e dall’America ci riporta a una Roma semibarbarica, in decadenza, dove la mondanità è d’obbligo e il gossip della stampa la fa da padrone. "Io non volevo solo partecipare alla feste, io volevo avere il potere di farle fallire", come dice il cronista Jep. E Sorrentino in conferenza stampa: "Mi pento quasi di aver nobilitato i giornalisti di casa”.