La guerra al Terrore continua. Ma in Afghanistan è ancora “necessaria”?
09 Novembre 2010
Il generale Petraeus rende pubblica la mappa con il ritiro delle truppe della Coalizione dall’Afghanistan, il segretario di Stato Clinton si sbraccia fra Canada e Australia per convincere gli Alleati sempre più riottosi, le trattative con i Talebani vanno avanti, mentre le altre grandi potenze dell’area – Iran ma anche India, Cina e Russia – si sfregano le mani aspettando che venga il loro turno. Mentre si riapre il "Grande Gioco" (viene da chiedersi se si sia mai chiuso), Obama parla davanti alle Camere riunite del parlamento indiano per dire che no, l’America non abbandonerà gli afghani e che sì, la Casa Bianca farà tutte le pressioni necessarie su Islamabad per chiudere la partita: "I santuari del terrore in Pakistan sono inaccettabili".
L’impressione è che per il Presidente degli Stati Uniti il conflitto afghano rappresenti ancora la "war of necessity" che doveva servire a sradicare Al Qaeda e a fare la differenza con le guerre di Bush ma, come si chiede provocatoriamente James Traub in un articolo apparso sulla rivista Foreign Policy, forse l’Afghanistan non è più così necessario come prima. Diverse fonti ormai confermano che la presenza dei terroristi del network di Bin Laden nella zona si è ridotta, che non godono più della protezione dei Talebani come una volta, né forse in futuro guadagneranno di nuovo quell’appoggio prezioso. Certo, questo non vuol dire che Al Qaeda è stata sconfitta, come sappiamo l’internazionale del terrore si sposta di paradiso in paradiso, si pensi a quant’è diventato pericoloso lo Yemen. Così come non dovrebbe sorprendere il perpetuarsi dell’insorgenza nelle zone di frontiera del Pakistan, il regno del clan Haqqani piuttosto che di Laskar-e-Taiba, cioè i gruppi fondamentalisti irriducibili su cui Al Qaeda può fare leva per seminare caos violenza e instabilità.
Ma nonostante tutto, Al Qaeda in Afghanistan è sotto torchio. I Talebani pronti al dialogo potrebbero strappare delle concessioni, politiche e territoriali, mostrando un profilo meno esasperato di quello che conosciamo nella applicazione della Sharia. E il Pakistan ha i mezzi per fare pressione sugli Haqqani o altri gruppi tribali nella speranza di riportarli all’ordine o almeno spingerli a tagliare il cordone ombelicale con Bin Laden. Scenari del genere non presuppongono la fine dell’impegno Usa nella lotta al terrorismo islamico, che continuerà su altri fronti. Semplicemente, un solo Paese con un governo corrotto (di ieri la notizia del rinvenimento di migliaia di schede elettorali trafugate dopo le ultime elezioni presidenziali), e delle forze di sicurezza ancora da formare, può diventare un peso, prima di tutto economico. In un momento in cui è proprio sull’economia che Obama si gioca il secondo mandato. Se al Presidente restano solo due anni per recuperare la sconfitta alle midterm, e intende giocarsi la carta della politica estera, dovrebbe chiedersi quanto vale morire per Kabul.