La guerra contro al Qaeda infuria anche a Washington. Bush pensa di vincerla
14 Luglio 2007
A Washington lo scontro tra l’amministrazione e il Congresso sulla conduzione della guerra in Iraq raggiunge ormai ogni giorno nuovi picchi di tensione. Martedì scorso con un voto quasi tutto di marca democratica (solo quattro deputati repubblicani hanno votato a favore) è stata approvata una risoluzione che chiede il ritiro della maggior parte delle truppe americane entro il prossimo 1 aprile. Bush è subito tornato a minacciare il ricorso al suo potere di veto così come aveva fatto nel maggio scorso quando riuscì a far passare la sua versione della “war funding bill”. Nello stesso tempo, il presidente americano ha inaugurato una strategia di comunicazione dai toni molto alti, da un lato intimando il Congresso a non addentrarsi nella gestione strategica della guerra, dall’altro ricordando in ogni possibile occasione che l’obiettivo dell’impegno militare americano in Iraq è sconfiggere gli stessi responsabili degli attentati dell’11 settembre. La tensione è destinata ad aumentare in vista di un prossimo voto al Senato dove sarà ancora in questione il ritiro delle truppe e dove il livello di defezione dei repubblicani potrebbe rivelarsi più alto. Al punto che Bush potrebbe trovarsi a contrastare risoluzioni magari più blande di quelle del Congresso ma egualmente indesiderate e per di più bipartisan.
Sullo sfondo c’è il primo rapporto della Casa Bianca sul raggiungimento dei 18 parametri che il Congresso ha voluto stabilire la scorsa primavera per meglio giudicare l’evoluzione civile e militare in Iraq dopo il lancio a gennaio di quest’anno della cosiddetta “surge”, cioè l’invio di una nuova “ondata” di