La guerra del Caucaso è arrivata in Finlandia
06 Dicembre 2008
Chi ha inventato le uniformi mimetiche? I Boeri, quelli che in Sudafrica fecero vedere i sorci verdi agli inglesi durante la guerra del 1880-81. All’inizio di quel conflitto un comandante britannico aveva dichiarato: “Combatteremo i boeri al mattino e giocheremo a polo nel pomeriggio”, ma le cose andarono ben diversamente e i soldati di Sua Maestà britannica, vestiti nelle loro splendenti divise rosse, ebbero inizialmente la peggio contro i boeri, vestiti di uniformi color kaki, che riuscivano a bersagliare gli avversari da grandi distanze occultandosi facilmente nella savana.
I britannici di Lord Kitchener riuscirono a vincere solo dopo che i famigliari dei valorosi combattenti boeri (donne, bambini, vecchi) vennero rinchiusi in campi di concentramento allo scopo di tagliare i rifornimenti alla guerriglia. Dietro i fili spinati di quei campi morirono più bambini boeri che soldati di ambo le parti, eppure oggigiorno siamo tutti convinti che i campi di concentramento furono inventati da Hitler (chi vince le guerre, si sa, può far credere ciò che vuole).
Prima di allora le uniformi avevano mantenuto i propri colori sgargianti e i pennacchi, i vessilli, i tamburi e i pifferi venivano impiegati con le medesime procedure sia in piazza d’armi che sui campi di battaglia, al duplice scopo di farsi riconoscere dagli amici e di incutere timore nei nemici. Ma dalla guerra anglo-boera in poi ci si rese conto che sul campo di battaglia più ci si mimetizzava e meglio si salvava la pelle.
All’inizio della prima guerra mondiale l’esercito francese combatteva con uniformi di colore rosso-blu, ma un po’ alla volta la guerra di trincea convinse tutti ad adottare uniformi che si mimetizzassero con l’ambiente circostante. Gli italiani ci misero più tempo degli altri a capirlo, pur essendo entrati in guerra un anno dopo, tant’è vero che nel 1915 gli ufficiali guidavano all’assalto i propri reparti indossando la sciarpa azzurra e brandendo la sciabola, con sommo divertimento dei cecchini austriaci, che ne eliminarono a bizzeffe lasciando senza guida i plotoni, le compagnie e i battaglioni avversari.
Fra le due guerre, invece, furono proprio gli italiani a realizzare progetti d’avanguardia, realizzando il più famoso dei disegni mimetici, quello a macchie larghe che fu adottato prima per le tende e poi per le uniformi dei paracadutisti. Nella seconda guerra mondiale furono le Waffen SS ad utilizzare uniformi mimetiche policrome a piccole macchie, sul tipo di quelle odierne.
Alla fine della seconda guerra mondiale ogni esercito andava fiero del proprio disegno: gli americani avevano il “duck hunter”, gli inglesi il “Denison smock”, i portoghesi il “vertical lizzard”, i francesi l’“horizontal lizard”, precursore del celebre “tiger stripe” utilizzato da molte nazioni nel Sudest asiatico e dagli americani in Vietnam. Successivamente, negli anni ’70 la Germania occidentale utilizzò la “Flecktarn” (poi adottata anche da Belgio, Danimarca e Giappone) e negli anni ’80 gli statunitensi utilizzarono il “woodland pattern”: proprio come nelle collezioni dell’alta moda.
Oggi non c’è esercito al mondo che non abbia le sue uniformi mimetiche policrome, magari di diversi tipi in modo da adattarle ai vari ambienti operativi: urbano, erboso, desertico, boschivo più o meno fitto, montano innevato o non. Ormai la produzione di uniformi mimetiche ha raggiunto livelli di sofisticatezza che rasentano la perfezione. Oddio, non mancano gli eserciti (non diciamo quali) che comprano al risparmio e che si accontentano di uniformi che si strappano al solo guardarle e che sembrano fatte esclusivamente per le parate, ma in genere si tende a perfezionare sempre più sia la robustezza producendo tessuti antistrappo che la sopravvivenza del combattente sul campo di battaglia, trattando le uniformi con sostanze che riflettono i raggi infrarossi e che pertanto rendono difficoltosa la loro scoperta da parte dei sistemi di visione notturna.
Addirittura, anche le più sofisticate tecnologie informatiche vengono impiegate per la scelta dei colori giusti per le uniformi mimetiche. Si utilizzano immagini digitali ottenute dall’osservazione satellitare di determinati terreni e si producono patterns (forme colorate) digitali costituiti da innumerevoli pixel, come quelli degli schermi televisivi. A questo proposito, è famosa la cosiddetta “digimarpat” (abbreviazione di digital marines pattern) dei marines statunitensi, per disegnare la quale sono stati utilizzati complessi algoritmi matematici come le equazioni frattali che hanno consentito di ottenere una trama che non ripete mai il medesimo agglomerato di pixel sulla stessa uniforme.
Anche le truppe russe e quelle georgiane che nell’agosto 2008 si sono scontrate nel Caucaso indossavano le proprie uniformi mimetiche. Ma quelle russe hanno dato luogo ad una singolare polemica. E’ accaduto che non appena le foto dei soldati russi hanno cominciato a girare il mondo, qualcuno in Finlandia ha sgranato gli occhi esclamando: “Ma quelle sono le nostre uniformi!”. Ellen Barry, sull’International Herald Tribune del 24 novembre, si è chiesta: “I russi sono andati in guerra con un mascheramento rubacchiato in Finlandia?”.
La questione è più delicata di quanto possa sembrare: attualmente le autorità finlandesi stanno esaminando accuratamente le fotografie dei soldati russi in Georgia per verificare se le uniformi moscovite abbiano effettivamente utilizzato il cosiddetto M/05, un pattern particolare formato da varie gradazioni di verde, ricavato da immagini digitali delle foreste finniche. Di questo pattern i finlandesi detengono il copyright, che è legalmente protetto su tutto il territorio dell’Unione Europea (e quindi non in Russia). D’altra parte, si sa che l’Europa trova difficoltà ad attuare una valida politica di sicurezza e difesa, ma a tutelare il copyright di un modello di tuta mimetica ci arriva benissimo.
I russi, ovviamente, smentiscono e rilanciano l’accusa nel campo opposto. Un portavoce del ministero dell’interno di Mosca ha dichiarato alla Komsomolskaya Pravda che le forze armate russe non si sono mai sognate di rubare l’idea ai finlandesi, e che probabilmente sono proprio quest’ultimi ad avere inventato questa storia al solo scopo di pubblicizzare il loro prodotto. Dmitri Rybakov, vice direttore della “Chaikovsky Textile”, una ditta che fornisce le uniformi alle forze armate russe, ha così commentato: “Abbiamo un centinaio di tipi diversi di mimetizzazione, perché mai dovremmo rubare quella finlandese?”. Da parte sua Eero Karhuvaara, portavoce dello stato maggiore di Helsinki, ha dichiarato: “Se le truppe del ministero dell’interno russo dovessero invadere la Finlandia, avremmo dei problemi”.
Ma se le cose andranno come nel 1939, quando la Russia attaccò la Finlandia, i problemi ce l’avranno i russi.