La guerra della Francia agli immigrati ha come unica vittima l’Italia

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La guerra della Francia agli immigrati ha come unica vittima l’Italia

07 Aprile 2011

Si può ricondurre a un’unica parola lo strappo verificatosi tra Francia e Italia: immigrazione. Di fronte alla decisione del nostro paese di concedere permessi temporanei garantiti dal governo ai tunisini già sbarcati a Lampedusa, che potrebbero così entrare liberamente in Francia, Parigi risponde con un ‘non ci sto’. E lo fa passando subito al contrattacco.

Perseguendo la linea della tolleranza zero, il ministro dell’Interno, Claude Guéant, ha emanato una circolare destinata a tutti i prefetti e alle autorità di polizia che “ricorda le regole che disciplinano la libera circolazione nello spazio Schengen di persone provenienti da Paesi terzi muniti di un documento di soggiorno provvisorio rilasciato da un Paese Schengen”. Le cinque le condizioni scritte nero su bianco dai francesi appaiono proprio come una risposta immediata ai provvedimenti annunciati dal governo italiano: i nuovi arrivati devono essere in possesso di un titolo di soggiorno valido, emesso da uno Stato membro della convenzione di Schengen, devono avere un passaporto nazionale valido, devono giustificare lo scopo e le condizioni del loro soggiorno in terra francese, non costituire una minaccia per l’ordine pubblico e non essere entrati in Francia da più tre mesi. Ma soprattutto devono certificare di disporre di risorse sufficienti al sostentamento (62 euro al giorno a persona, 31 euro se dispongono di un alloggio).

La Francia di Sarkozy, insomma, non sembra minimamente intenzionata a cambiare linea di condotta e tantomeno a subire diktat, con il risultato che – in barba all’esortazione di Bruxelles “è molto importante che gli Stati membri collaborino tra loro” – saranno pochi i tunisini che riusciranno effettivamente a rimanere a Parigi. Vedendosi sbattare la porta in faccia dai francesi cosa faranno a quel punto? Riattraverseranno a marcia indietro le Alpi per raggiungere il nostro Paese. Guéant, del resto, nell’intervista rilasciata a quotidiano Le Figaro è stato chiaro, rispetto all’accusa rivolta alla Francia dal commissario europeo Cecilia Malmström di andare oltre i propri diritti sulla questione: “Parigi non vuole subire un’ondata di immigrazione tunisina dall’Italia, Paese in cui rispedirà candidati al soggiorno in Francia che non soddisfino le condizioni di identità e di risorse richieste” – parandosi dietro lo scudo del trattato di Chambéry siglato con il nostro Paese.

Il nostro ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha definito “ostile” l’atteggiamento della Francia sul tema dell’immigrazione e ha annunciato che domani incontrerà il suo omologo francese per trovare un accordo e definire “un sistema di intervento comune”. La questione scotta e rischia seriamente di provocare scintille tra i due cugini europei, vista soprattutto la volontà, da parte della Francia, di fare propria la teoria dello ‘scaricabarile’, riscontrabile nei fatti degli addetti ai lavori parigini e nelle parole dello stesso  Guéant (“è regola dell’Unione europea che il primo paese visitato si prenda la responsabilità degli stranieri che si presentano da lui”).

Parigi è una contraddizione vivente. Ancora una volta sta mostrando una doppia faccia che usa a suo piacimento a seconda delle occasioni: se un attimo prima, come accusa l’ex primo ministro socialista Laurent Fabius, si mostra tollerante e aperta alla diversità (vedi l’elogio fatto da monsieur Sarkozy a Aimé Césaire, “poeta della negritudine” che ha dato voce alle speranze degli oppressi) quello subito dopo dichiara guerra aperta a les immigrés dimenticando (o meglio, volendosi dimenticare) le regole sancite dagli accordi di Schengen, con particolare riferimento a uno degli obiettivi del trattato: l’abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio che racchiude l’area.