La Guerra di Putin come Nemesi (Parte I)

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La Guerra di Putin come Nemesi (Parte I)

La Guerra di Putin come Nemesi (Parte I)

30 Marzo 2022

Se è vero che quella che abbiamo davanti è una campagna multidimensionale e che – ancora una volta – la realtà del mondo ci insegna come la Storia si svolga tramite equazioni non lineari, se vogliamo davvero vincere la sfida che Vladimir Putin ha lanciato alla sovranità e all’integrità dell’Ucraina ma anche a tutto l’Occidente, ci sono alcuni nodi che dobbiamo assolutamente sciogliere.Il primo dei quali è decifrare correttamente il tipo di messaggi che il Cremlino sta mandando ai pubblici non occidentali e a quelli occidentali sensibili alla sua retorica anti-globalista.In questo senso, non è vero quello che – a ridosso degli attacchi jihadisti a Parigi – disse l’allora ministro francese Manuel Valls: “Comprendere è un po’ assolvere”.Comprendere, “leggere” il nemico non è assolvere, ma – come codificato 2500 anni fa da Sun Tzu – la strada maestra per la vittoria.Il potere delle specchioNel 2002 mi trovavo in Irlanda per realizzare un reportage in occasione del trentennale del Bloody Sunday, in concomitanza con una delle periodiche recrudescenze del conflitto Anglo-Irlandese.Uno dei tanti scontri di matrice etnico-linguistico-culturale-religiosa che fanno da sotto-trama al processo omologante della mondializzazione; conflitto – tra l’altro – tornato di attualità dopo la follia della Brexit. Di ritorno dall’Ulster, per qualche giorno, mi fermai a Dublino.Rispetto ai quartieri cattolici di Belfast e Derry, il “salto” era plasticamente percettibile.Dublino, capitale di una delle “Tigri celtiche”, con la sua capacità di attrarre imprese globali e produrre brand – come la Guinness – dalla rilevanza planetaria era chiaramente proiettata (pur con tutte le fragilità e le contraddizioni che poi sarebbero esplose nella crisi del Debito sovrano del 2009) verso una diversa dimensione geografica (la globalizzazione) e temporale (il futuro).Ricordo vividamente – nell’atmosfera ovattata del Trinity College – una frase riportata su un tazebao, una sorta di koan zen: “Uno specchio davanti a un altro specchio / Nulla è riflesso”.A distanza di anni, questa frase – che allora mi sembrò un’efficace metafora di come potesse apparire un mondo privato delle identità particolari, nel quadro di una economia globale e globalizzante, mi è tornata in mente sfogliando un manuale di strategia aziendale, tra i più famosi: “Le 48 leggi del potere” di Robert Greene. Un volume così famigerato da essere bandito da molte biblioteche dei penitenziari USA e da essersi meritato più di una citazione in film e produzioni Tv: una per tutte “Empire”, serie creata da Lee Daniels e Danny Strong per la Fox.Ebbene, la legge numero 44 rimanda proprio al potere degli specchi: “Disarmate e irritate con l’effetto specchio”.In sintesi: “Lo specchio riflette la realtà ma è anche lo strumento ideale per ordire un inganno: quando fungete da specchio per i vostri nemici, riproducendo con assoluta precisione le loro azioni, essi non riescono più a decifrare la vostra strategia. L’Effetto Specchio rifà loro il verso e li umilia, spingendoli a reagire in modo spropositato. Reggendo uno specchio di fronte alla loro psiche, date loro una efficace lezione. Pochi sanno resistere al potere dell’Effetto Specchio”.Mi avvio alla conclusione di questa premessa con un altro aforisma spiazzante nella sua semplicità – al limite della banalità – che ho trovato in uno dei libri più illuminanti sulla verticale del potere del Cremlino (“L’Olimpo di Putin” di Valerij Panjuskin): “Uno specchio scambia sempre la destra con la sinistra ma mai l’alto con il basso”.Infine, con riferimento all’aggressione russa all’Ucraina e alle possibili scelte da adottare per contrastarla, anche Micol Flammini – su “il Foglio” – ha parlato dello “Specchio delle scelte”.Penso che questo approccio possa raccontarci molto di quello che Putin sta dicendo a chi è sensibile al suo messaggio e che non riusciamo a raggiungere con le nostre parole d’ordine basate sui sacrosanti richiami alla difesa delle libertà democratiche, del diritto internazionale e del ripudio della violenza generalizzata.Ritengo che Putin abbia scritto la sceneggiatura del tragico spettacolo che ha deciso di mettere in scena – usando proprio l’effetto specchio – come perfetta nemesi di 4 nodi irrisolti della nostra storia recente che – come vedremo – sono intimamente collegati a 4 potenziali crisi che possono deflagrare nel quadro di una possibile escalation.TramaProviamo a mettere in ordine questi nodi irrisolti: 1) mentre noi – giustamente – leggiamo i fatti di EuroMaidan (pur con alcune contraddizioni) come la legittima aspirazione degli Ucraini, in particolare delle nuove generazioni, di abbracciare i valori dell’Occidente e dell’Europa, Putin – scegliendo, per lanciare la sua “Operazione Speciale”, la data simbolica del 24 febbraio (la stessa in cui Viktor Janukovyč fu costretto alla fuga) – punti invece a riproporre il mistificante messaggio – a cui sono sensibili molti autocrazie – che quello andato in scena a Kiev (come le altre Rivoluzioni colorate o quelle che abbiamo chiamato Primavere arabe) non sia stato nient’altro che un Regime Change nel quadro di una Guerra ibrida.Paradossalmente, si tratta di un messaggio a cui potrebbe essere sensibile (lo potremo constatare a breve) anche un leader di primo piano della Sinistra mondiale come Lula Da Silva che sta costruendo la campagna elettorale che dovrebbe portarlo di nuovo alla guida del Brasile proprio sullo storytelling di una sua defenestrazione per mezzo di un presunto golpe giudiziario (per pura curiosità il protagonista di questa “Mani pulite” in salsa carioca – il giudice Sergio Moro – è un grande fan del nostro Antonio Di Pietro).Se così dovesse essere, tutti i Brics – pur con sfumature diverse – si troverebbero dalla stessa parte della barricata.2) Forse i suoi piani erano all’inizio diversi, e di fronte all’inaspettata resistenza del popolo ucraino, galvanizzato dalla leadership di Zelensky – come annunciato in una recente conferenza stampa dai suoi vertici militari russi – il Cremlino potrebbe accontentarsi di una partizione dell’Ucraina su linee etnico-culturali e geografiche: fondamentalmente sulla traiettoria Ovest-Est (l’ampiezza delle distinte zone di influenza si definirà in base al finale di partita).Di fatto si tratta – più o meno – della soluzione che molte Cancellerie occidentali avrebbero visto come realistica (se non ottimale) per stabilizzare la Libia e la Siria. Lo stesso Putin ha di fatto convinto (almeno momentaneamente) Assad ad accontentarsi della cosiddetta Siria utile (il triangolo Damasco-Tartus-Latakia). L’Ucraina utile (il Donbass con il ripristino di un collegamento territoriale con la Crimea e una fascia di sicurezza di 150/200 chilometri dai confini russi e bielorussi) è quanto si è già assicurato (tra l’altro si tratta della zona più ricca e industrializzata). Sulla base economica della restante (e sulla futura ricostruzione della stessa) dovremmo porci più di una domanda alla luce della pervicace, capillare e pervasiva penetrazione economica cinese a Kiev (un esempio per tutti: la Borsa valori ucraina è saldamente nelle mani di Pechino).3) La dirigenza russa – in modo palesemente strumentale e provocatorio – è arrivata ad accusare gli USA di fabbricare – in Ucraina – armi di distruzioni di massa, provando a portare sul banco degli imputati anche l’ambiguo Hunter Biden. Alle nostre orecchie tutto ciò è apparso per quello che è: appunto una strumentale provocazione; ma quanto ricorda l’assurda vicenda dell’Iraq con il mortificante siparietto di Colin Powell all’Onu?4) Nel 2014, in occasione dell’annessione della Crimea (e questo “discorso” è stato di nuovo riproposto), i Russi avevano riesumato il tema dell’autodeterminazione dei popoli e – in particolare – la vicenda del Kosovo e dei drammatici bombardamenti sulla Serbia del 1999. Quanto imbarazzo ci provocano oggi le formazioni paramilitari albanesi, nel frattempo declassate da guerriglieri per la libertà a terroristi, tra l’altro dediti a traffico internazionale di organi?Peter Harclerode nel suo monumentale “Fighting Dirty” racconta – con una mole impressionante di dati – come attorno ai nuclei di dissidenti Albanesi e Ucraini furono create le prime formazioni anti comuniste della Guerra Fredda, nel quadro della strategia stay-behind. Questo fatto (per quanto riguarda gli albanesi anticomunisti) è citato anche da John Le Carré nel suo romanzo postumo: “L’Ultimo segreto”.Aver evidenziato questi 4 nodi non significa minimamente abbracciare la strampalata equivalenza morale tra noi e l’aggressore, come suggerito da alcuni filo putiniani.Comunque torniamo alla domanda iniziale: sta funzionando questa strategia comunicativa?Non abbiamo contezza dell’allineamento tra leadership e opinioni pubbliche nei Paesi emergenti ma a oggi la Cina come anche il Pakistan, l’Iran, il Sud Africa e paradossalmente l’India (sul versante diplomatico sono accadute cose molto interessante tra Delhi e Pechino) sono neutrali se non simpatetici con la causa russa.Cosa sta accadendo in Occidente, sotto la facciata di unanime condanna?A prescindere dall’imbarazzante sondaggio di Pagnoncelli prontamente rilanciato dall’Ambasciata russa nel nostro Paese, un report ha rilevato che il 51 per cento degli intervistati ritiene la comunicazione in Italia troppo filo-occidentale.A “riequilibrare” questa percezione non varrà certo l’inserimento nel meccanismo mediatico di alcuni personaggi che dovrebbero rappresentare – in modo caricaturale e sopra le righe – le posizioni putiniane.Il problema di questa guerra cognitiva è più profondo e ha bisogno di un approccio strutturale accompagnato da una profonda stagione di riforme politiche e sociali che arrestino quella che Philip Kotler ha efficacemente definito come la “Crisi della Democrazia”.Questa guerra si può e si deve vincere ma non senza sciogliere efficacemente questi nodi.Il cuore di tutto ciò è il condizionamento di massa, a cui credo sia necessario rispondere sul medesimo piano psichico: mobilitando appunto immaginari.Il miglior manuale in circolazione? “Il gioco di Ender” di Orson Scott Card.Questo romanzo di fantascienza è del 1985, ma l’autore anticipa – con straordinaria potenza visionaria – le possibilità offerte dalle reti e dai social nel costruire determinate suggestioni o “stati d’animo collettivi”: “Ci sono periodi in cui il mondo si torce per mutare se stesso, e in quei momenti chiave la parola giusta può cambiarne il destino”.(segue)