La guerra di Spataro contro la guerra al terrorismo

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La guerra di Spataro contro la guerra al terrorismo

07 Novembre 2009

Il procuratore Armando Spataro si è fatto le ossa dando la caccia ai terroristi delle Brigate Rosse in Italia. Ma mercoledì a Milano ha condannato i 23 americani accusati di aver rapito Osama Mustafa Hassan Nasr nel 2003, facendolo sparire dal paese. La loro condanna e la relativa sentenza – in contumacia – rappresentano una nuova discutibile pietra miliare nella guerra giudiziaria contro la guerra al terrorismo.

Nel 2005, il procuratore Spataro aveva emesso un mandato di arresto nei confronti di Nasr, accusandolo di essere alla guida di una rete di reclutamento di terroristi in Europa. Nasr era già sotto la sorveglianza delle autorità italiane sin dall’11 settembre. Ricordare questi elementi è utile per dimostrare che Spataro non è propriamente un ingenuo di fronte ai casi di terrorismo e non si fa di certo illusioni riguardo a Nasr. Sa bene, inoltre, visto il suo coinvolgimento nell’inchiesta sul caso di Madrid, che gli americani non sono gli unici obiettivi del terrorismo islamico.

Eppure Spataro ora insiste nel sostenere che il trasferimento  di Nasr – prima in Germania e poi in Egitto, dove Nasr stesso denuncia di aver subito delle torture – è stato un crimine contro la sovranità italiana. E non importa che gli americani condannati stessero lavorando, secondo la ricostruzione dello stesso Spataro, a stretto contatto con agenti dell’intelligence italiana.

Inizialmente, nell’inchiesta in questione, Spataro aveva accusato anche cinque italiani che sono stati poi però assolti o hanno visto cadere le accuse nei loro confronti. La Corte Suprema Italiana ha stabilito che le prove contro di loro rappresentavano dei segreti di stato e come tali non erano ammissibili in giudizio. L’accusa, in realtà, ha sostenuto che la decisione di far sparire Nasr dal paese sia stata presa ai vertici del governo italiano, e ad un certo punto ha anche minacciato di chiamare a deporre come testimone il Premier Silvio Berlusconi.

La cooperazione del governo italiano con la CIA riveste una grande importanza, anche perché è un principio di vecchia data del diritto internazionale il fatto che gli agenti dei governi stranieri che operano in un paese estero con il consenso del governo locale debbano essere immuni da procedimenti giudiziari. Ma più in generale, questo accanimento contro i cacciatori di terroristi da parte di Spataro dimostra quanto ci siamo allontanati dall’11 settembre. La Commissione USA dell’11 settembre chiedeva una maggiore cooperazione, ben oltre i confini nazionali, finalizzata alla ricerca dei terroristi. E invece, adesso ci ritroviamo con procuratori e giudici che condannano gli agenti americani per “il rapimento” di un uomo che persino Spataro voleva vedere in prigione.

Non è chiaro il motivo per cui Nasr sia stato portato in Egitto piuttosto che essere arrestato dalle autorità italiane, o quale fosse il pericolo, secondo gli agenti dell’intelligence, nel continuare a mantenerlo in libertà. Ma, a prescindere dai dettagli, sarebbe di certo un errore per i magnanimi riformisti d’Europa gioire di fronte alle condanne appena pronunciate.

Se gli agenti dell’intelligence americana non possono cooperare con gli agenti europei senza temere di essere arrestati, allora sia l’Europa che l’America sono meno sicure. I dirottatori dell’11 settembre hanno preparato il loro piano contro gli Stati Uniti in Germania, ma anche Spagna, Gran Bretagna e Germania sono stati loro obiettivi. Secondo alcuni report, Nasr stava pianificando un attacco contro l’ambasciata americana a Roma, che avrebbe causato vittime italiane e americane.  

Da una sponda all’altra dell’Atlantico, da lungo tempo gli agenti continuano a sostenere che, al di là delle differenze politiche, la cooperazione dell’intelligence e delle forze dell’ordine si è sempre dimostrata solida. I casi come quelli di cui abbiamo parlato minacciano di compromettere questo legame vitale, e alla fine il prezzo della “vittoria” di Spataro potrebbe essere pagato da vittime innocenti.

© The Wall Street Journal
Traduzione Benedetta Mangano