La guerra fredda tra Cina e India si combatte solo alle frontiere
11 Agosto 2009
Dal 7 all’8 agosto si è svolto a Nuova Delhi il 13esimo incontro tra i rappresentanti speciali di India e Cina per la questione dei confini. Si tratta di un meccanismo di consultazione inaugurato nel 2003, che ha l’obiettivo di trovare una soluzione politica ad un contenzioso aperto dal 1962.
Le due delegazioni speciali, guidate dal consigliere di Stato cinese Dai Bingguo e dal consigliere per la sicurezza nazionale indiano M.K. Narayanan, si sono dette soddisfatte per i progressi sinora svolti attraverso il meccanismo di rappresentanza speciale ed hanno deciso di impegnarsi per il mantenimento della pace e della stabilità lungo le linee di frontiera, fino al raggiungimento di una soluzione che dovrà essere accettabile per le due parti. In seguito, hanno deciso di allargare le discussioni ad altri temi, quali le relazioni bilaterali e regionali, e le questioni internazionali di mutuo interesse.
Ancora una volta, i due giganti asiatici hanno deciso di mettere sotto il tappeto la controversa questione dei confini, per non compromettere i notevoli progressi raggiunti nella loro cooperazione. La Cina e l’India hanno i medesimi interessi nazionali: essere percepite dall’Occidente come grandi potenze, garantirsi materie prime e risorse energetiche per sostenere la loro crescita economica e trovare nuovi mercati per le proprie produzioni. I mercati cinese ed indiano sono sempre più legati, nel 2008 la Cina è diventata il primo partner commerciale dell’India, scavalcando gli Stati Uniti.
La necessità di non compromettere gli importanti interessi comuni, portano le due potenze ad aumentare i meccanismi di collaborazione, ponendo in secondo piano le antiche rivalità. In questo contesto si inseriscono la riapertura del passo himalayano del Nathu-La (chiuso dalla guerra del ’62) e il progetto di estensione della linea ferroviaria cinese Qinghai-Lhasa, che raggiungerà Yadong, ultima città cinese prima del confine con l’India.
Agli interessi comuni, si affiancano i comuni nemici per la sicurezza interna: il terrorismo, il separatismo e l’estremismo hanno spinto le due potenze a collaborare anche sul piano militare, con l’avvio, nello scorso anno, di una serie di esercitazioni militari comuni.
Non meno importanza riveste la collaborazione contro i cambiamenti climatici. La scorsa settimana, il ministro per l’ambiente indiano Jairam Ramesh ha dichiarato al Financial Times che Cina e India stanno studiando la possibilità di un monitoraggio congiunto sui ghiacciai dell’Himalaya, lungo il loro confine, da cui nascono alcuni dei fiumi più grandi del mondo, tra cui il Gange e lo Yangtze, fondamentali per le risorse idriche di entrambi. Gli esperti affermano che tra 40 anni, se i ritmi di scioglimento non rallenteranno, i ghiacciai dell’Himalaya non esisteranno più e ciò porterebbe un danno inestimabile per le due nazioni asiatiche, in cui vive il 40% della popolazione mondiale.
In questo slancio di pragmatismo, la risoluzione dell’annosa controversia confinaria deve essere ancora rimandata. Il confine tra India e Cina, che si estende per oltre 3000 Km lungo la catena montuosa dell’Himalaya, è uno dei più lunghi del mondo, nonché il più indefinito. La linea di confine non è tracciata né sul terreno, né sulle mappe. La questione confinaria risale alla colonizzazione inglese dell’area. Nel 1914 , la Gran Bretagna ha tracciato la linea Mac Mahon, che separava l’India dalla Cina, e che non è mai stata riconosciuta dai successivi governi cinesi. Nel 1962, la Cina e l’India si sono affrontate in una breve guerra lungo il confine, che fu vinta dalla Cina, pur senza apportare sostanziali cambiamenti.
La Cina rivendica buona parte dello stato indiano dell’Arunachal Pradesh, che i cinesi chiamano Tibet meridionale, considerandolo storicamente appartenente al Tibet. A sua volta, l’India chiede la restituzione dell’Aksai Chin, un territorio un tempo facente parte del Kashmir, che è stato in parte conquistato dalla Repubblica Popolare nella guerra del 1962, e in parte ad essa ceduto dal Pakistan.
In entrambi i casi, si tratta di territori situati ad un altissima latitudine, scarsamente popolati e la più parte del tempo ricoperti da neve o ghiacciai. Ma entrambi ricoprono una valenza simbolica o strategica, che rende complicata la questione della risoluzione: l’Arunachal Pradesh, continuazione geografica e culturale del Tibet cinese, è il rifugio di esuli tibetani e sede del secondo maggior tempio buddhista, situato a Tawang. La stessa cittadina di Tawang rappresenta inoltre un corridoio strategico per la Cina verso il Bangladesh e il Golfo del Bengala. Per l’Askai Chin, invece, passa una grande strada che collega la regione autonoma cinese dello Xinjiang e il Tibet, l’unica accessibile durante tutto l’anno.
Gli interessi in campo, nonostante le buone intenzioni, sono troppo importanti per auspicare una prossima risoluzione pacifica della questione. C’è addirittura chi ipotizza una nuova guerra sino-indiana. Bharat Verma, direttore dell’Indian Defence Review, in una recente intervista al Corriere della Sera ha affermato che la Cina muoverà guerra all’India entro il 2012, per assicurarsi la supremazia in Asia e per distogliere l’opinione pubblica dalla crisi economica che, secondo l’analista, farà perdere ai comunisti il controllo del Paese. Dura è stata la reazione di analisti ed economisti cinesi, che hanno giudicato assurda l’ipotesi di Verma.
Se lo scenario di una guerra vera e propria è per il momento inverosimile, certo è che, nonostante le dichiarazioni, una sorta di piccola guerra fredda è già in atto tra le due potenze, che continuano a rafforzare i propri apparati militari lungo i confini e ad alimentare le preoccupazioni e le diffidenze reciproche : la Cina, costruendo basi navali avanzate nell’Oceano Indiano, l’India varando sottomarini atomici armati di missili a testata nucleare.