“La guerra in Georgia è una guerra dell’Occidente”

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“La guerra in Georgia è una guerra dell’Occidente”

12 Agosto 2008

Tbilisi, Georgia. Mentre vi scrivo la Russia conduce una guerra contro il mio paese.

Venerdì scorso, centinaia di carri armati russi hanno fatto ingresso in territorio georgiano, i jet delle forze armate russe hanno bombardato i nostri aereoporti, basi militari, porti e mercati pubblici. Tanti i morti e molti di più i feriti. Un’invasione questa che ci riporta alla mente l’invasione dell’Afghanistan nel 1979 e la Primavera di Praga del 1968, e che rischia di mettere a repentaglio la stabilità del sistema di sicurezza internazionale. 

Perché è scoppiata questa guerra? Questa è la domanda che la mia gente si pone in questo momento. Questa guerra non è il frutto di una cospirazione georgiana, né tanto meno può dirsi una scelta georgiana. 

Il Cremlino ha architettato questa guerra. Già all’inizio di quest’anno la Russia ha tentato di provocare la Georgia annettendo parti considerevoli di territori separatisti, in particolare l’Abkhazia. Abbiamo risposto con moderazione e allora la Russia ha deciso di portare lo scontro in Sud Ossezia. 

A prima vista potrebbe sembrare una guerra le cui cause affondano le proprie radici in un irrisolto conflitto separatista. In realtà si tratta di una guerra che ha a che fare con l’indipendenza e il futuro della Georgia; una guerra che ci dirà in quale Europa vogliamo che i nostri figli crescano. Siamo franchi: si tratta di un conflitto che parla del futuro di libertà nell’Europa stessa. 

Nessun paese appartenente all’ex Unione Sovietica ha fatto più progressi verso il consolidamento della democrazia, verso uno sradicamento della corruzione e verso la costruzione di una politica estera indipendente di quanto non ne abbia fatto la Georgia negli ultimi anni. Ecco cosa la Russia cerca di distruggere con questa guerra. 

Questo conflitto ha a che fare prima di tutto con i nostri valori comuni transatlantici di democrazia e libertà. Si tratta del diritto delle piccole nazioni a vivere in libertà e di poter liberamente auto-determinare il proprio futuro. Si tratta di un conflitto tra un’idea novecentesca di scontro tra sfere d’influenza e il cammino d’integrazione e unità definito dall’Unione Europea in cui siamo già immersi in questo ventunesimo secolo. La Georgia ha compiuto la sua scelta. 

Quando il mio governo è stato condotto al potere dalla rivoluzione pacifica nel 2004, ereditavamo uno Stato disastrato e dagli anni ‘90 afflitto dalle pene di due conflitti irrisolti. Mi sono battuto per riunificare il mio paese; non con la forza delle armi, bensì con la forza dell’attrazione. Volevo che la mia gente, ormai abituata a vivere in zone di guerra potesse sperare di vivere in un paese prospero e democratico cosa che forse la Georgia ha già incominciato ad essere.

Con lo stesso spirito abbiamo tentato di intrattenere relazioni amichevoli anche con la Russia che è e resterà un vicino della Georgia. Abbiamo cercato di costruire legami fondati sul rispetto della reciproca indipendenza e dei reciproci interessi. Ma mentre riconoscevamo i legittimi interessi della Russia, abbiamo sempre reso chiaro che la nostra indipendenza e la nostra sovranità non sarebbero stati principi negoziabili. Così facendo, abbiamo creduto di poter perseguire liberamente la scelta sovrana di una nazione georgiana, e questo al fine di ricercare una maggiore integrazione nelle istituzioni economiche e di sicurezza europee. 

Abbiamo lavorato duramente perché un ritorno pacifico dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud nelle maglie della Georgia fosse possibile, tenedo a mente i diritti e gli interessi dei residenti di quei territori. Per anni, abbiamo offerto ai leader dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud la possibilità di negoziare direttamente cosicché insieme potessimo discutere piani comuni col fine di riconoscer loro la più ampia autonomia all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti della Georgia.

La Russia, che da tempo controlla i separatisti, ha risposto ai nostri sforzi con una politica illegale di annessione. Così, mentre noi chiedevamo ai residenti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud d’unirsi ai nostri sforzi di pacificazione in vista di un futuro comune, Mosca ha perpetrato una politica di controllo sui gruppi separatisti. Il Cremlino è giunto al punto da nominare ufficiali russi con la finalità precisa di armare e amministrare i c.d. “governi separatisti”. 

In qualunque circostanza, le interferenze della Russia nei nostri affari  interni rappresenterebbero una lampante violazione delle norme internazionali. Le interferenze russe sono oggi ancora più gravi però, se si considera che ormai dall’inizio degli anni 90 la Russia ricopre anche varie responsabilità nelle operazioni di peace-keeping e di mediazione diplomatica proprio in Abkhazia e in Ossezia del Sud. Invece di comportarsi come un onesto broker, la Russia è divenuta parte del conflitto, e ora un manifesto aggressore.

Quando l’Europa cominciò ad espandere le proprie strutture di sicurezza collettiva al Mar Nero, il mio governo chiese alla comunità Occidentale delle nazioni (in particolar modo ai governi europei e alle istituzioni comunitarie) di giocare un ruolo guida nella chiusura del nostro conflitto separatista. La chiave di volta per una qualsivoglia soluzione del conflitto rimaneva e rimane la sostituzione delle vecchie strutture diplomatiche e di peace-keeping  (ormai vecchie di venti anni) con un nuovo sforzo internazionale.   

Ma l’Europa ha tenuto le distanze e, come previsto, la Russia ha dato il là ad un’escalation militare. I nostri amici in Europa ci hanno invitato alla prudenza, argomentando che la diplomazia avrebbe preso il sopravvento. Abbiamo seguito i loro consigli e, a nostra volta, abbiamo dato il nostro apporto mettendo sul tavolo nuove soluzioni che potessero mettere fine ai conflitti in corso. Durante le negoziazioni della scorsa primavera, abbiamo offerto ai leader separatisti un’ampia autonomia, garanzie internazionali e larga rappresentazione nel nostro governo centrale.

Le nostre offerte di pace sono state respinte. Mosca cercava la guerra. In Aprile, la Russia ha incominciato a comportarsi come se l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud fossero sue province. Ancora una volta i nostri amici in Occidente ci hanno chiesto di agire con moderazione, e così abbiamo fatto. Ma sotto le mentite spoglie di operazioni di peace-keeping, la Russia ha inviato truppe para-militari e artiglieria pesante in Abkhazia. In molte occasioni la Georgia è stata provocata con la finalità ultima di imbarcarci in una guerra.

Nonostante i falliti tentativi russi di condurci alla guerra, il Cremlino ha incominciato ad interessarsi sempre più dell’ Ossezia del Sud, ordinando ai “propri” separatisti in loco di incrementare gli attacchi contro le posizioni georgiane. Il mio governo chiese già allora un cessate-il-fuoco unilaterale; i separatisti allora incominciarono ad attaccare obiettivi civili e a quel punto i carri armati russi hanno incominciato ad oltrepassare i confini georgiani. Non abbiamo avuto scelta se non quella di difendere i nostri civili e ripristinare il nostro ordine costituzionale. Mosca ha così usato questo pretesto per un attacco su vasta scala contro la Georgia.

Negli scorsi giorni la Russia ha condotto un attacco aggressivo contro la Georgia. Colonne di loro carri armati si sono inoltrati in Ossezia del Sud. I loro caccia hanno bombardato oltre alle nostre basi militari, anche infrastrutture civili ed economiche compreso il porto di Pori sulle coste del Mar Nero. La loro flotta del Mar Nero si sta concentrando in queste ore sulle nostre coste e un attacco è in corso sull’Abkhazia del Nord. 

Qual è la vera posta in gioco in questa guerra?

Ovviamente, in palio c’è il futuro della mia terra. Il popolo georgiano ha parlato forte e chiaro: loro vedono il loro futuro in Europa. La Georgia è un’antica nazione europea, legata proprio all’Europa da cultura, civilizzazione e valori comuni.

Lo scorso Gennaio attraverso un referendum, tre georgiani su quattro hanno espresso il loro sostegno all’adesione della Georgia alla Nato. Le loro volontà non sono negoziabili: in questo momento stiamo pagando il duro prezzo delle nostre ambizioni democratiche. 

Ma anche il futuro della Russia è in gioco. Può una Russia che conduce una guerra d’aggressione nei confronti di un proprio vicino, essere un partner affidabile per l’Europa? E’ evidente che l’attuale leadership russa persegue un progetto di restaurazione neocoloniale basato sul controllo di tutto lo spazio un tempo governato dall’impero sovietico. 

Se le mura georgiane dovessero veramente cedere, questo vorrebbe dire che le sorti dell’intero Occidente sarebbero a repentaglio, e il rischio di ricadere di nuovo sotto il giogo dell’impero post-sovietico diverrebbe reale. I leader dei paesi della regione (siano essi quelli di Ucraina, Caucaso o Asia Centrale) valuteranno allora se il prezzo da pagare per la loro libertà e indipendenza non sia davvero troppo altro.

Mikheil Saakashvili è il Presidente della Georgia

© Wall Street Journal

Traduzione di Edoardo Ferrazzani