La Kaplinsky è incinta. Ecchissenefrega!
06 Aprile 2008
di Paola Vitali
Il caso della anchorwoman inglese Natasha Kaplinsky, ovvero del suo annuncio di una gravidanza al terzo mese a sole sei settimane dall’inizio di un clamoroso contratto milionario con l’emittente Channel Five, secondo i giornali italiani sta animando la Gran Bretagna. Farebbe discutere il fatto che il volto più noto e pagato dei telegiornali (1 milione di sterline l’anno per strapparla alla BBC, a ragion veduta, stando all’impennata fino al 72% di gradimento rispetto alle trasmissioni senza di lei) abbia iniziato il nuovo prestigioso incarico già in attesa di un figlio, senza dirlo al datore di lavoro. Lasciando in aria il dubbio, se al momento dell’assunzione sapesse di essere incinta o meno. Nei fatti Channel Five si trova a doversi privare del suo personaggio di spicco poco dopo averla messa sotto contratto, a preoccuparsi di un adeguato rimpiazzo per i mesi in cui dovrà assentarsi – e comunque a ricavarne sempre qualcosina, dato il ritorno di pubblicità che la notizia ha scatenato da subito. E ovviamente a dichiarare diplomatica che le augura ogni bene, mentre lei e il suo entourage si impegnano a chiarire che il desiderio della giornalista di avere un bebè era stato discusso apertamente con i vertici dell’emittente.
L’episodio è stato prontamente sfruttato dai media per aprire il dibattito sulla discriminazione delle donne nei luoghi di lavoro a causa di maternità, e sulle manovre spesso molto poco regolari di chi assume, quando ha davanti una dipendente di sesso femminile. In Inghilterra come in Italia, il sessismo non conosce limiti di fantasia e di etica, e a scoperchiare la pentola delle esperienze aziendali delle donne in età fertile, si viene investiti da racconti di ogni genere, deprimenti e a volte incredibili. Perciò una delle posizioni più frequenti è la difesa incondizionata a priori delle donne e dei loro diritti, in quanto nella maggior parte dei casi la reticenza sulle intenzioni di procreare o su gravidanze già in corso è indispensabile per garantirsi un lavoro che altrimenti verrebbe praticamente sempre negato.
Quello che in questo (presunto) spunto di polemica non quadra, anzitutto è perché si debba proprio utilizzare una figura così poco rappresentativa per un dibattito sulle difficili condizioni del lavoro femminile. Natasha Kaplinsky con il suo contratto fuori mercato, il marito banchiere nella City e lo status di celebrità che le consentirà di ricavare senza sforzi ulteriori ottimi danari dallo sfruttamento della gravidanza sui media, non è proprio un personaggio esemplare ai fini della causa femminile. E per fortuna gli interventi sui forum inglesi, in particolare il polverone sollevato dal celeberrimo blog Alpha Mummy del Times, sono per la maggior parte improntanti ad un salutare “ecchissenefrega” a proposito dei destini della privilegiatissima signora Kaplinsky. Su cui viene da sorridere se qualcuno si affretta a dire che non avrà la garanzia di tot mesi di retribuzione come da legge sulla maternità, in quanto free-lance…
Quel che poi viene da concludere ad un volo d’uccello sulla stampa inglese che secondo i nostri giornali avrebbe “strillato” la notizia, è che a parte le chiacchiere delle lettrici che scalpitano per poter testimoniare le loro vicissitudini in argomento (purtroppo quasi sempre senza il conforto di analoghi conti in banca), non ci sia stata questa gran polemica.
Polemica che sarebbe salutare nessuno avesse in mente di accendere: perché in tutta onestà, stare dalla parte della carismatica Natasha, in particolare se già sapeva di essere in dolce attesa, non è possibile. Quando si viene assoldati per un progetto particolare dalle dimensioni economiche imponenti, e del tutto ad personam, non si è propriamente sullo stesso piano dell’impiegata con il mutuo sul collo e le mansioni ordinarie che un’azienda può riassegnare ad altri durante una sua assenza per maternità – per quanto onerosa per una impresa di piccole dimensioni. In un caso di questo tipo, è francamente impensabile e scorretto non informare il potenziale datore di lavoro che l’accordo che sta chiudendo a caro prezzo è sbilanciato, e che il suo investimento comporterà anche inconvenienti e costi. Qui siamo sul terreno del business, e non più soltanto su quello della tutela del lavoro femminile e del diritto sacrosanto ad avere figli.