La Lega Araba vara il ‘piano Siria’: tregua e dialogo con opposizione

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La Lega Araba vara il ‘piano Siria’: tregua e dialogo con opposizione

05 Novembre 2011

L’annuncio è arrivato nella notte di mercoledì 2 novembre da un funzionario della Lega Araba a Doha, capitale del Qatar, dove si sono svolte le trattative: il governo siriano ha accettato un piano per far cessare la repressione che, ormai da otto mesi, insanguina il Paese. Il regime appare anche disponibile ad avviare un dialogo con l’opposizione.

In breve  i punti del piano sarebbero i seguenti: il rilascio di tutti i prigionieri politici arrestati da metà marzo, il ritiro delle forze di sicurezza dalle strade delle città, l’avvio del dialogo tra governo e opposizioni tra due settimane e l’arrivo in Siria di osservatori della Lega Araba e dei media internazionali.

Il primo ministro del Qatar Sheikh Hamad bin Jassim al-Thani ha spiegato che tale piano, approntato dalla stessa Lega Araba, prevede il ritiro immediato delle forze di sicurezza dalle varie città in cui sono dislocate, comporta il libero accesso in Siria ai media nazionali ed internazionali, nonchè la scarcerazione dei prigionieri politici.

Si tratta del primo vero segnale che il regime di Bashar al- Assad è finalmente pronto al compromesso, dopo aver perpetrato l’assassinio di oltre 3000 persone nella torrida “primavera araba” siriana. Tuttavia ciò non convince alcuni membri dell’opposizione. Essi mantengono un atteggiamento cauto sull’accordo, che prevedrebbe l’inizio dei negoziati entro due settimane.

Proprio nel giorno dell’annuncio dell’accettazione siriana del piano della Lega Araba vi sono stati 25 morti tra i civili, 21 dei quali nell’ormai tristemente celebre provincia di Homs. Lo hanno riferito le Commissioni di Coordinazione Locale, un network che sostiene e documenta le azioni dei manifestanti. 

Altri oppositori  affermano che l’accondiscendenza di Assad è solo un modo per guadagnare tempo prima di ulteriori violenze.

Intanto il primo ministro del Qatar, con malcelata incertezza, dai quartieri generali del Cairo si è affrettato ad assicurare l’apertura siriana con una tautologia: “le garanzie che la Siria adempirà all’accordo sono nell’accordo stesso”, ovvero in ciò che esso stabilisce.

Nessun commento è giunto dal Dipartimento di Stato americano. La sua portavoce Victoria Nuland si è limitata a dichiarare: “la Siria ha fatto molte promesse alla comunità internazionale in passato. Noi abbiamo visto la Siria dire pubblicamente di essere pronta ad accettare le proposte, ma allo stesso tempo, abbiamo anche visto nuova violenza per mano dello stesso regime siriano”.

I dissidenti non sono da meno, anzi: la maggior parte di essi non accetta il dialogo con il presidente perché non si fida più nè di costui nè delle sue promesse di riforma ed auspica soltanto un rovesciamento del regime. La Siria è a rischio di guerra civile e alcuni oppositori di Assad hanno giurato più massicci raduni di piazza, se e quando le forze di sicurezza del regime verranno ritirate.

Ad avviso dei dissidenti infatti, tale provvedimento non rappresenterebbe la soluzione del problema: il governo stesso. Lo ha chiarito Raman Kanjo, un attivista costretto a rimanere nascosto per ragioni di sicurezza: “Possono ritirare le forze, ma le manterranno nei punti caldi” e “qualunque cosa dica, non crediamo più a questo regime. Per noi ora, non c’è alternativa che la sua caduta”.

Gruppi anti-governativi hanno già espresso il loro punto di vista la scorsa estate, quando hanno chiesto sia un mandato internazionale per la protezione dei civili siriani sia un legittimo riconoscimento da parte della comunità internazionale al posto del regime di Damasco.

La Lega Araba è intervenuta nella crisi il 16 ottobre con una riunione d’emergenza, per decidere se sospendere la Siria dall’organizzazione, ma l’incontro è fallito poichè sostenitori di Assad come il Libano, il Sudan, l’Algeria e lo Yemen hanno posto il veto.

Si è optato allora per un accordo finalizzato a far cessare le violenze da parte del governo siriano: violenze che, secondo l’opposizione, in due sole settimane hanno mietuto centinaia di vittime tra i dimostranti. Intanto gli USA sono tornati a chiedere le dimissioni del figlio del defunto presidente-generale Hafez al Assad.