La Lega rappresenta un serio pericolo per la democrazia dell’alternanza
13 Aprile 2012
Le disavventure giudiziarie della Lega non debbono indurre a un colpevolismo sommario, magari condito da una punta di soddisfazione. Certo, pensando al rozzo giustizialismo di cui quel partito ha dato tetragona prova nel passato, la tentazione di reagire con un "ben gli sta" è forte. Tuttavia una simile reazione emotiva va evitata per varie ragioni. Anzitutto perché un’attitudine garantista deve valere per tutti. Si tratta, infatti, di un elementare principio di civiltà; inoltre, oggi in Italia il garantismo è una precondizione per ristabilire un corretto rapporto tra i poteri arginando lo strapotere del "partito dei giudici", che è una delle cause strutturali dello stallo in cui si trova il sistema politico. Perciò, abbandonando ogni atteggiamento manicheo, conviene analizzare i recenti avvenimenti cercando di inserirli in una più ampia cornice temporale.
Diciamo subito che lo scandalo in cui è coinvolto Bossi (che fa seguito alle accuse di tangenti al presidente consiglio regionale lombardo di qualche settimana fa) non stupisce da un punto di vista, per così dire, statistico. In questi anni la Lega ha svolto una sistematica occupazione del potere, impadronendosi di tutte le poltrone disponibili nelle amministrazioni locali (municipalizzate, partecipate etc.). Dato un simile retroterra, che si accompagna a una struttura di partito pesante e a una gestione familistica, la probabilità di un uso privatistico delle molte risorse disponibili non appare un evento di cui stupirsi. Tuttavia, anche ammesso che tutte le accuse di cui si legge in questi giorni risultino vere, questo non costituirebbe motivo di ulteriore discredito per il leghismo. I danni che il partito di Bossi ha arrecato al riassetto del nostro sistema politico, infatti, sono infinitamente maggiori di qualunque eventuale reato contro la pubblica amministrazione.
Per capirlo occorre porre mente a un aspetto essenziale di cui non sempre si tiene conto. Contrariamente a quello che si pensa comunemente, la Lega non è un partito nato con la cosiddetta seconda repubblica, ma è l’ultimo partito della prima repubblica. I dirigenti storici del partito (Bossi, Calderoli, Borghezio) erano figure marginali del sottobosco politico, che la crisi repentina del sistema dei partiti nati nel dopoguerra ha improvvisamente proiettato sulla ribalta nazionale. Non casualmente il partito del carroccio, affermatosi con slogan anticentralisti, si è ambientato benissimo nei palazzi della capitale, dimostrando di conoscerne tutte le regole, scritte e non scritte. Il fatto è che la Lega è visceralmente avversa a una democrazia dell’alternanza, orientata sull’asse destra/sinistra, mentre è culturalmente affine a un sistema di gestione consociativo ed antimaggioritario. Semmai di questa cultura presenta una versione imbarbarita e imbastardita, esasperata e caricaturale, ma perfettamente riconoscibile. Per illustrare la nostra tesi si potrebbero scegliere vari episodi, dalla grottesca storia del "trasferimento" dei ministeri a Monza della scorsa estate, alle minacce che Bossi ha rivolto qualche settimana fa al premier Monti. In questa sede, però, converrà ritornare su di una vicenda di alcuni mesi addietro, perché essa è l’epitome dello stile politico leghista, dove la demagogia di basso conio convive con la più disinvolta manipolazione della realtà storica.
Lo scorso gennaio, all’indomani della scomparsa dell’ex-presidente Oscar Luigi Scalfaro, la Lega contestò duramente la figura del defunto uomo politico, collocandosi sulla stessa linea d’onda del PdL. Si è trattato un atteggiamento inconsueto (il motto latino recita: de mortuis nihil nisi bonum), ma per il PdL indubbiamente fondato. L’atteggiamento critico della Lega è stato invece dettato solo da una calcolo demagogico, volto a lucrare rispetto a una figura invisa agli elettori del centro destra. Nell’autunno del 1994 Scalfaro pilotò con coerente spirito di restaurazione centrista la crisi di governo, provocata dalla Lega, che portò alla caduta del primo governo Berlusconi e al ribaltone da cui prese vita il ministero Dini, azzoppando gravemente la giovanissima seconda repubblica. Se il presidente avesse accondisceso alla richiesta di Berlusconi di sciogliere le camere e di indire nuove elezioni subito, la Lega avrebbe pagato un prezzo elettoralmente altissimo, venendo marginalizzata. In sostanza, il partito di Bossi ha potuto continuare la sua navigazione politica, svolgendo in questi anni un ruolo non secondario (ma, ahimè, tutt’altro che positivo) solo grazie alle discutibili scelte operate da Scalfaro in quella circostanza. Certo, in politica la strumentalità non è sempre evitabile e, d’altronde, nella vita la riconoscenza è merce rara. Pertanto, l’atteggiamento della Lega nei confronti dell’ex presidente Scalfaro ha battuto tutti i record di sfacciataggine.
In conclusione, non sappiamo come il partito assorbirà lo scossone dello scandalo in cui è stato coinvolto il suo leader maximo. Una cosa, però, ci pare certa: la Lega continuerà ad essere una pericolosa mina vagante per il nostro sistema politico.