La legge Calabrò ha il merito di chiarire i dubbi sulle ultime ore di vita
03 Novembre 2011
di Mario Ganau
Sebbene sia stata vissuta sottotono in Italia, almeno a giudicare dallo spazio pressoché nullo dedicato dai media a tale evento, ieri si è tenuta la Giornata mondiale per il diritto a morire con dignità. In molti paesi dell’UE la giornata ha rappresentato un momento di concreta riflessione nazionale: in Francia, ad esempio, l’Admd (Association pour le droit de mourir dans la dignité) ha acquistato una pagina intera del quotidiano Le Monde per invitare non solo i comuni cittadini ma soprattutto i candidati per la corsa all’Eliseo a prendere una posizione chiara in merito. In Olanda, invece, l’intera Giornata è stata l’occasione per ribadire la libertà di richiedere ed ottenere l’eutanasia, come se questo potesse automaticamente significare modernità delle istituzioni.
Purtroppo, occorre prendere atto di quanto la Giornata del 2 novembre sia stata per molti versi strumentalizzata, al fine di indurre nei cittadini una maggior sensibilità verso la legittimazione dei trattamenti di fine vita. Eppure, se è vero che molti pazienti affetti da neoplasie aggressive o da patologie degenerative vivono la malattia come una vera e propria condanna a morte, il dato secondo il quale buona parte dei cittadini europei (addirittura il 94% dei francesi secondo il sondaggio Ifop dell’agosto 2011) approvi il ricorso all’eutanasia non trova alcun riscontro nella pratica clinica quotidiana. Lo sa bene la classe medica che si trova ogni giorno a gestire situazioni medico-chirurgiche complesse: così, quando dai discorsi si passa purtroppo ai fatti e il momento delle scelte diventa concreto e non ulteriormente rimandabile, le parole più frequentemente pronunciate da pazienti e parenti sono “continuate a fare tutto il possibile”.
Questo atteggiamento, apparentemente contradditorio, dimostra che la realtà è ben più cruda e difficile da gestire di qualsiasi ipotesi astratta. E ci dice anche che l’opinione pubblica è ben più divisa su questi temi di quanto le lobby internazionali che appoggiano il ricorso all’eutanasia e sostengono questo filone di pensiero vogliano far credere.
A fronte dello scarso rilievo che la Giornata del 2 Novembre ha avuto, invece, sul piano nazionale, sarebbe bene invitare tutti a riflettere ancora una volta sul disegno di legge Calabrò, che ha interpellato la coscienza e la responsabilità dei legislatori, fino ad essere approvato dal Senato il 26 marzo 2009 e poi, con modifiche, anche dalla Camera lo scorso 12 luglio 2011. Secondo quanto prevede l’iter parlamentare, ora il ddl è tornato dunque in Senato, all’esame della Commissione Igiene e Sanità. Il testo di legge in questione ha avuto il merito di smentire, di fatto, la retorica dell’antiparlamentarismo, fornendo ai professionisti e ai cittadini una chiave d’interpretazione con cui dipanare la nebbia che avvolge il dramma delle ultime ore di vita.
I 9 articoli del testo rappresentano non solo un concreto riconoscimento della tutela della vita umana quale diritto inviolabile ed indisponibile, ma soprattutto garantiscono la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza. Lo sforzo profuso dal Parlamento ha permesso alla nostra classe medica e a tutti i cittadini di non trovarsi soli di fronte a momenti così duri sia sul piano professionale che etico. E questo non è retorica né populismo, piuttosto buonsenso, che nei fatti significa veramente conciliare l’etica della vita con il diritto a morire con dignità.