La legge contro le bestemmie in campo sarebbe più utile se fosse più precisa

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La legge contro le bestemmie in campo sarebbe più utile se fosse più precisa

03 Marzo 2010

Ci risiamo, a nuova norma segue nuova polemica. Sono arrivate le prime punizioni dopo la decisione dei vertici del calcio di perseguire in maniera sistematica chi in campo si lascia scappare una bestemmia, ricorrendo anche alla prova televisiva. La norma, in vigore dal dal 28 febbraio scorso, è inappuntabile da un punto di vista educativo, peccato che sulla sua applicabilità ci siano molti punti oscuri. E neanche San Tommaso potrebbe chiarirli.

La prima “vittima” del giro di vite è l’allenatore del Chievo Domenico Di Carlo, il giudice sportivo lo ha infatti punito con un turno di squalifica. L’attaccante del Parma Davide Lanzafame, al 15′ della gara pareggiata 0-0 contro la Sampdoria, si è invece lasciato scappare “un’espressione blasfema” nei pressi della linea laterale: sentita e verbalizzata da uno zelante collaboratore della procura federale, non ha lasciato scampo al giovane fuorilegge.

Anche la Serie B, per non sentirsi da meno, ha esordito con 2 casi. A Reggio Calabria Vincenzo Sicignano – portiere del Frosinone – al termine della gara contro la Reggina, ha perso il controllo al rientro negli spogliatoi. Nessuna scusante neanche per Giuseppe Scurto. Il difensore della Triestina, Finito a terra dopo un fallo è stato inquadrato dalla telecamera, che si è soffermata sul volto: “La lettura labiale esclude ogni ragionevole incertezza”, dice il referto, quindi  squalifica. Fin qui tutti casi chiari, i problemi arrivano ora.

“Il calciatore clivense – si legge nella decisione -, uscendo dal terreno di gioco in conseguenza dell’espulsione inflittagli dall’Arbitro pochi attimi prima, proferiva apparentemente un’espressione gergale, in uso nel Triveneto ed in Lombardia, con becero riferimento a ‘Diaz’ e non a Dio. Il diverso movimento delle labbra nelle pronuncia della vocale aperta A rispetto alla vocale O legittima quanto meno un’incertezza interpretativa”. Dopo attenta e ripetuta visione dell’episodio, insomma,  il giudice ha assolto il centrocampista del Chievo Michele Marcolini per non aver commesso il fatto. Peccato non si tratti di uno scherzo, è tutto tremendamente serio, e comico.

Siamo nel campo della fonetica e della semiotica, due scienze rispettabilissime e utili se impiegate nella maniera corretta, ma un campo di calcio non sembra essere il loro terreno ideale, tanto che lo stesso Marcolini ha dichiarato ”la regola così come è concepita mi sembra un po’ campata in aria… E sono contento di essermi salvato. In ogni caso sapete dove allena adesso il buon Ramon Diaz? Mi sa che devo chiamarlo per chiedergli scusa…”. Se la ride il centrocampista del Chievo, come del resto hanno fatto diversi commentatori illustri e tutti i tifosi il giorno di San Valentino.

Durante Juventus-Genoa, il portiere bianconero Gigi Buffon si fece beccare con la più comune delle bestemmie in bocca dopo aver subito il gol del 2-2. Smascherato dalle telecamere, cercò di svicolare con l’ironia. “In famiglia ho uno zio che fa un pò il porcellino…”. Standing ovation per lui e sudore freddo nei vertici federali, fosse successo 2 settimane più tardi sarebbe stata una bega di dimensioni considerevoli.

Aspettiamo che scoppi una polemica dirompente, nel frattempo ci permettiamo di far presenti un paio di dubbi e considerazioni. Primo fatto da annotare è l’allargamento delle competenze della moviola. Una volta si poteva pensare di farla franca dopo una “marachella”, oggi non è più così. Il rischio è che ci si debba comportare sul terreno di gioco come si farebbe in un salotto della Roma Bene, in barba alla trance agonistica che è alla base di ogni competizione.

Inoltre, bisogna riflettere sul fatto che non tutti i campi hanno lo stesso numero di telecamere e quindi il trattamento risulterà irrimediabilmente impari per le squadre. Lo stadio del Sassuolo (serie B) avrà certamente una dotazione di macchine da presa dimezzata rispetto a San Siro, dove sono sotto controllo anche i corridoi che portano sul rettangolo di gioco e le panchine a bordo campo.

Altro spunto interessante è dato dalla nazionalità dei calciatori. Sembra essere marginale, ma così non è. Prendiamo come esempi 2 squadre militanti nel nostro campionato, l’Inter e il Chievo di Marcolini. I nerazzurri, su una rosa di 26 elementi, hanno una presenza di italiani pari a 6 mentre nel Chievo, sui 29 atleti che compongono la prima squadra, giocano 19 italiani.

Ragionando, si può ipotizzare che i 19 tricolori dei gialloblu abbiano una possibilità molto più alta di bestemmiare nella propria lingua rispetto ai 6 portacolori nerazzurri. Questo porterà ad un maggior acquisto di stranieri? Chissà, non si può escludere. Come si prende in considerazione la fallosità di un giocatore prima della sua acquisizione non si può – con lo stesso principio – non valutare che potrebbe essere squalificato per bestemmia prima ancora che per comportamenti di gioco.

L’argomento è complesso e sfocia in campi ben lontani da quelli verdi. La soluzione della prova televisiva è buona nelle intenzioni ma farraginosa nell’attuazione. Si potrebbe pensare di lasciare questo controllo solo ai direttori di gara oppure eliminarlo del tutto, catalogandolo come un esperimento mal riuscito.

Se invece si vuole mantenere a tutti i costi la norma – tenendo sempre presente la ferma condanna verso ogni forma di bestemmia – si può pensare ad una integrazione. Per equiparare i campi con scarsa copertura delle telecamere si potrebbero installare piccole cineprese su dei caschi e costringere i calciatori a indossarli. Ma soprattutto, cosa ben più importante, si dovrebbe introdurre l’uso di un idioma ufficiale, altrimenti chi potrebbe capire un serbo che pronuncia "frasi blasfeme" nella sua lingua?