La legge elettorale e la retorica dell’antiparlamentarismo
05 Dicembre 2007
A suo tempo dal connubio fra
Cavour e Rattazzi nacque la Destra storica. Ben di peggio, secondo Marco
Pannella, deriverebbe dall’incontro fra cavallerie berlusconiane e fanterie
veltroniane. Intanto, però, la materia elettorale – di nuovo conio (tedesca, spagnola,
l’una e l’altra), “ma anche” di vecchio conio (il perfido porcellum),
tramite chirurgia referendaria – è ormai incandescente. Ne è consapevole il
professor Vassallo, politologo meno scintillante ma anche meno bastian
contrario di Sartori, segnalatosi alle primarie democratiche come prodiano
stimato dal segretario del partito.
In democrazia le leggi
elettorali, come accadeva alla legge di successione al trono nell’antico
regime, sono lois fondamentales. Inserite o meno all’interno della
costituzione, ne sono comunque la spina dorsale. Si pensi a quell’ordine del
giorno ad hoc, approvato subito prima
della Costituzione, affinché la legge elettorale fosse comunque proporzionale,
ma il 18 aprile del 1993 irrimediabilmente cancellato per volontà di popolo
referendario. Sarebbe dovuto nascere un diritto degli elettori a scegliere essi
il governo; si inneggiò a un parlamentarismo finalmente archiviato; si pensò
fosse stato definitivamente sradicato il ricatto di coalizione.
Le cose non andarono proprio
così. Alle elezioni del 2006 si tornò alla proporzionale, ma col premio di
maggioranza all’alleanza vincitrice. Partì da qui la corsa a cronometro perch