La letteratura italiana, tra oblio e relativismo culturale

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La letteratura italiana, tra oblio e relativismo culturale

09 Settembre 2007

La Letteratura italiana è un patrimonio culturale
straordinario, senza pari al mondo, ed è anche un tesoro di fondamentale
rilevanza nella realizzazione della nostra identità nazionale. Per questo
motivo lo studio di certi autori e certe opere assume un’importanza particolare
nell’educazione delle giovani generazioni.

La questione del canone letterario è molto complessa e
ricca di risvolti, anche politici; nel recente passato, abbiamo assistito a
vere e proprie rivolte scatenate da questo scottante tema, come quella alla
Stanford University nel 1987, che poi si estese a tutti gli USA, provocando
accesi dibattiti ed una sostanziale revisione dell’offerta didattica in campo
letterario nelle università statunitensi. La discussione americana partiva però
da esigenze culturali e tensioni sociali diverse dalle nostre. Infatti il nostro principale problema non pare quello
dell’esclusione dal canone di interi patrimoni letterari nazionali prodotti da
minoranze, come nel caso americano, ma piuttosto quello dell’inspiegabile
esclusione di alcuni autori e di alcune opere in particolare.

In realtà, gli scrittori e i testi in questione sono
riconosciuti e largamente apprezzati dalla critica, ma poi vengono regolarmente
ostracizzati o comunque fortemente limitati (in termini di spazio e di
programma) nelle antologie e nei testi scolastici in generale.

Federigo Tozzi, autore di romanzi indispensabili per
comprendere l’evoluzione letteraria del primo ‘900 italiano ed europeo (basti
citare “Con gli occhi chiusi”, del 1919), mi sembra un esempio significativo:
la critica lo indica da sempre come uno dei più grandi romanzieri del secolo e
fin dagli anni ’20 (dalle pagine dell’autorevole rivista “Solaria”) lo pone sul
medesimo livello di Svevo e Pirandello (giudizio continuamente confermato da
benedizioni prestigiose come quella, negli anni ’60, di Debenedetti, il quale
lo definì un classico della modernità), eppure questo genio toscano resta
sempre ai margini della formazione scolastica e quindi della cultura comune.
Questo caso (ma avrei potuto citarne altri, come Pindemonte, Tommaseo, Campana,
Guareschi, …) mostra con chiarezza lo scollamento che spesso avviene tra il
canone letterario prodotto dalla critica qualificata ed il canone scolastico
proposto agli studenti attraverso le antologie. Un errore grave, che Remo
Ceserani ha delineato bene in questo passaggio: “la questione dei canoni non
riguarda tanto i problemi dell’estetica e dell’etica, quanto piuttosto quelli
delle istituzioni sociali delegate a trasmettere la cultura, e quindi
anzitutto, nella nostra società, di istituzioni come scuola ed università.” (R.
Ceserani, “Cannonate”, in “Inchiesta”, 1995, pag. 71)

Forse una delle ragioni di tale inquietante scollamento è
da ricercare nella progressiva perdita di autorevolezza che ha subito negli
ultimi decenni il mondo della critica letteraria, anche a causa del diffondersi
di un multiforme ed esiziale relativismo culturale che, attraverso teorie come
quella della recezione di Stanley Fish (autore di un volume dal significativo
titolo: “C’è un testo in questa classe?”) o come quella del pensiero debole
della scuola ermeneutica, vuole negare la possibilità di raggiungere un
giudizio di valore sui testi letterari. Tale delegittimazione di cui soffre la
critica qualificata ha provocato da una parte il rafforzamento di un canone
imposto dal mercato (e quindi qualitativamente basso), dall’altra la definitiva
indipendenza dei volumi scolastici rispetto ad un canone nazionale definito
attraverso una scala di valori condivisa.

Il tema che ho voluto qui brevemente delineare va risolto
al più presto, per il bene del paese, perché non possiamo permettere né l’oblio
di un patrimonio letterario di sicuro valore né le scelte ideologiche, o anche
solo semplicemente errate, di certe antologie ora in uso.

Conoscere in modo completo il patrimonio culturale della
propria Nazione è un dovere per ogni uomo, ma in particolare lo è per chi, come
noi italiani, appartiene ad una delle culle più fiorenti della civiltà
occidentale.