La libertà d’espressione gira poco anche su YouTube

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La libertà d’espressione gira poco anche su YouTube

05 Aprile 2007

La giunta militare thailandese,
al potere dopo il golpe del 2006, nei giorni scorsi ha oscurato il famoso sito
web di condivisione gratuita di immagini YouTube. Il motivo? Il filmato di un
utente che oltre a ritoccare le foto del volto del re con nasi da clown e
rossetto vi sovrappone parzialmente delle immagini di piedi, in un accostamento
considerato blasfemo dal buddismo che ritiene la testa la parte più sacra del
corpo ed i piedi quella più infima. Questa semplice carnevalata è stata
considerata un oltraggio al sovrano Bhumibol Adulyadej dalle autorità
thailandesi, che non prendono alla leggera queste cose: offendere i componenti
della famiglia reale costituisce un reato, punibile con la galera da tre a
quindici anni. E la legge non è come quella sul vilipendio al Tricolore in vigore in Italia,
scritta solo sulla carta: settimane fa il cittadino svizzero Oliver Rudolf
Jufer è stato condannato a vent’anni di galera per aver ritoccato satiricamente
cinque immagini del re, pena ridotta poi a “soli” dieci anni in seguito alle
scuse di Jufer. Perciò quando Google, che gestisce YouTube, si è rifiutato di
togliere il video, è scattato l’oscuramento.

Oltre al giusto sdegno di fronte
a fatti del genere, che dimostrano come la libertà d’espressione sia ancora un
traguardo lontano in troppe parti del mondo, in un osservatore italiano non può
non sorgere il sorriso. Da tredici anni, comici, artisti, giornalisti, semplici
cittadini di sinistra si sono lanciati in un linciaggio satirico e mediatico di
Berlusconi che non ha eguali negli altri paesi europei. Tanto per darne un’idea
rimanendo in rete, se si va sul motore di ricerca Google e si cercano immagini
per la parola “Berlusconi”, le prime venti trovate automaticamente dal server
sono fotomontaggi o vignette di Berlusconi che lo ritraggono nudo, in pose
porno, o nei panni di Hitler. E pensare che in Thailandia se la prendono per un
po’ di rossetto: se quella legge fosse applicata da noi andrebbero in galera migliaia
di cittadini politically correct.

Casualmente negli stessi giorni
YouTube ha incrociato la politica italiana per un altro caso. Il Consiglio
Nazionale del Nuovo PSI ha visto la discussione tra la corrente di De Michelis,
pro Unione, e quella di Caldoro, pro CDL, degenerare prima in urla e poi in spintoni
tra i seguaci dei due leader che affollavano la sala. Non poteva mancare
qualcuno che con un cellulare riprendesse il tutto e lo mettesse online, su
YouTube appunto. A parte la facile ironia sui partitini eredi del glorioso Partito
Socialista Italiano, che raccolgono ciascuno a stento l’1,4% dei voti e
riescono a spaccarsi in correnti come quando Craxi prendeva il 14%, non si
tratta certo di un bel messaggio trasmesso dalla politica. Ma non è solo la
politica a dare il peggio di sé su internet.

YouTube sembra essere diventato
il canale attraverso il quale si diffondono, oltre naturalmente a tantissimi
contenuti che hanno un loro valore o che sono semplicemente innocui, tutti i
frutti peggiori di un Paese che ha fatto dei reality show i programmi più
seguiti dell’ultimo decennio. E se il video della propria moglie che si cambia
in camera da letto, girato di nascosto dal marito, può restare tutto sommato
una squallida idiozia di lui, assumono una certa gravita i molti filmati girati
coi cellulari dagli alunni delle scuole italiane finiti su YouTube. Video di
ragazzi che chiedono alle compagne del sesso orale, che palpeggiano o fingono
di palpeggiare una giovane professoressa, o che chiedono ad un’altra se non
guadagnerebbe di più facendo la puttana.

Se è questo quello che succede
nelle aule italiane senza che né presidi, né insegnanti, né genitori facciano nulla,
non si può non preoccuparsi. Nella scuola si sciopera per ogni minimo motivo,
ma nessuno incrocia le braccia e protesta per come l’insegnamento è umiliato proprio
da chi dovrebbe riceverlo. Galli Della Loggia parla non a torto sul Corriere della
“morte dei padri”, intesa come crisi della capacità degli adulti di trasmettere
ai figli i valori e i modelli comportamentali basilari per il vivere sociale.
Ma oltre a incolpare i postumi del ’68, il politically correct e la scalcinata scuola
italiana, bisognerebbe considerare anche le colpe dei singoli, e più che di morte
dei padri si tratta forse del loro suicidio: un genitore che invece di prendere
a schiaffi un dodicenne viziato gli regala un videofonino di ultima generazione
è la prima causa del suo male, e non può che piangere se stesso. Tra gli
arresti della giunta militare tailandese e la degenerazione degli adolescenti
italiani, il buonsenso di un educatore potrebbe trovare molte ragionevoli vie
di mezzo.