La lite fra Putin e Medvedev sulla Libia è solo la punta dell’iceberg
23 Marzo 2011
Berlino è più vicina a Pechino, Nuova Delhi e Brasilia rispetto a Parigi o Londra. E’ questa la nuova mappa del mondo che nasce dalla crisi in Libia. La Germania di Angela Markel, per motivi quasi esclusivamente di politica interna, si è astenuta sulla risoluzione delle Nazioni Unite in forza della quale è scattato l’intervento militare occidentale,allineandosi ai BRIC (termine coniato da Goldman Sachs per spiegare come quattro paesi domineranno l’economia mondiale nel prossimo mezzo secolo) Cina, India, Brasile Russia.
Se ognuna di queste nazioni ha motivazioni ed interessi specifici da tutelare non tirandosi fuori dall’attacco a Gheddafi, la mappa dei non interventisti fornisce indicazioni molte precise sui rapporti di forza nella geopolitica del XXI secolo dove il peso delle “potenze emergenti” aumenta sempre di più, soprattutto nel confronto con l’Occidente fiaccato dalla crisi economica globale.
La più solerte nel prendere le distanze sull’intervento militare in Nordafrica è stata la Russia. Mosca è uscita allo scoperto subito dopo i primi bombardamenti e ha bollato come “frettolosa” l’offensiva militare, chiedendo un cessate il fuoco. La linea di Mosca va oltre l’astensione e si muove verso la rivendicazione di un proprio copione. Questo il motivo per cui il Cremlino alza la voce e tenta di ritagliarsi un ruolo come aveva fatto con il Kosovo. Ma non c’è solo questo. Il Cremlino è il primo fornitore di armi del regime libico e stava fornendo a Gheddafi addestratori ed aerei da guerra di ultima generazione, missili antiaerei, elicotteri d’attacco, carri armati e sottomarini.
Con la caduta del Colonnello, i russi perderebbero commesse belliche da oltre due miliardi di dollari secondo le stime del Sipri Military Expenditure Database. Ma se il il no alla guerra ritaglia un ruolo da protagonista per la Russia a livello internazionale, rischia anche di dare il colpo di grazia al già poco affiatato tandem Medvedev-Putin. Il premier ha criticato senza mezzi termini la risoluzione con cui il Consiglio di sicurezza dava il via libera alle operazioni militari. Putin l’ha definita "una chiamata medievale alla crociata". Il suo successore al Cremlino Medvedev ha reagito duramente: “Parole del genere- ha denunciato – sono inaccettabili giacche in nessuna circostanza è tollerabile l’uso di espressioni, che in sostanza conducono a uno scontro di civiltà.
Anche la contrarietà della Cina all’intervento occidentale non è certo una novità. Pechino non può legittimare nessun movimento popolare contro uno strato sovrano. Il timore è che le rivolte in Nordafrica e Medio Oriente diano nuovo slancio alle proteste nello Xinjiang musulmano e in Tibet. Per questo motivo sul Renmin Ribao, l’organo ufficiale del Partito Comunista Cinese, Pechino accusa gli Stati Uniti e tutti i suoi alleati di violazione delle norme internazionali. Il Dragone mostra da tempo un crescente dinamismo anche nell’area nordafricana e in quella mediorientale.
La scorsa settimana Tripoli aveva nuovamente invitato Cina, Russia e India, nazioni definite "amiche", con le quali Gheddafi mostra di voler stringere accordi sempre più stretti, a siglare contratti per lo sfruttamento diretto dei giacimenti libici. Si è trattato solo dell’ennesima propagandistica del Rais, una mossa plateale volto a creare ulteriori differenziazioni nello schieramento avverso più che ad avviare in tempi rapidi nuove partnership in campo energetico o nelle ricche commesse avviate dal regime libico. Ma chissà che non abbia trovato orecchie interessate.
In un articolo comparso sul Finacial Times alcuni dirigenti delle compagnie petrolifere occidentali hanno espresso la loro preoccupazione sulla situazione in Libia. Secondo le major, se Gheddafi dovesse resistere potrebbe nazionalizzare il petrolio mettendo nei guai le oltre quaranta multinazionali dell’energia in gara per l’esplorazione dei ricchi giacimento di gas e petrolio. La grande questione energetica, cioè la corsa dei Paesi occidentali ai grandi bacini di approvvigionamento è una delle variabili fondamentali da considerare nel nuovo “grande gioco” che si è aperto sul teatro strategico che va dal Maghreb al Golfo persico.
Questa volta però sono entrati in partita anche i giganti asiatici, Russia, Turchia e Brasile. La rampante potenza carioca sta giocando sempre più un ruolo decisivo nelle relazioni internazionali. Con l’astensione al Palazzo di vetro ribadisce il la volontà di trovare un suo ruolo sullo scenario mondiale. Basta ricordare quanto avvenuto l’anno scorso quando Brasilia ha mediato con la Turchia sul nucleare iraniano nonostante le perplessità Usa. Mentre l’India, che punta apertamente a un seggio permanente al Consiglio di sicurezza, si è spinta fino a condannare l’intervento militare alleato subendo la critica che la più grande democrazia del mondo ha preferito comportarsi come la Cina pur avendo l’ambizione di essere un giorno una potenza su scala regionale e globale.
Queste significative defezioni sono soltanto parzialmente rimpiazzate da coinvolgimento nella nuova “coalizione dei volenterosi” di potenze minori. La Spagna vorrebbe seguire l’esempio francese ed approfittare del caos in Egitto, Tunisia e Libia per costruirsi una posizione di forza nel Mediterraneo. La Danimarca ma soprattutto la Norvegia, che opera con successo nel campo delle risorse energetiche, sperano di poter entrare nella partita petrolifere del dopo Gheddafi.
Mentre il Canada, che con nave da guerra HMCS Charlottetown si è già unita alle azioni militari e al blocco navale della Libia, partecipa con regolarità alle missioni militari americane. Il problema è che Ottawa non è né Pechino ne Mosca e la solitudine dell’Occidente nella missione per cacciare Gheddafi scatta un’istantanea che coglie la nuova dimensione della geopolitica e delle relazioni internazionali post- 11 settembre fondata sui nuovi equilibri e strategie nel grande gioco delle potenze mondiali.