La maggioranza (compatta) sta dalla parte di Cosentino. Per ora

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La maggioranza (compatta) sta dalla parte di Cosentino. Per ora

26 Novembre 2009

Né arresto, né dimissioni. Palazzo Madama boccia le mozioni di Pd e Idv su Nicola Cosentino e la giunta per le autorizzazioni di Montecitorio dice no alla richiesta di custodia cautelare in carcere firmata dal tribunale di Napoli nei confronti del sottosegretario all’Economia, accusato di concorso esterno in associazione camorristica.

In sintesi la cronaca della giornata che si snoda tra i due rami del parlamento ma che sul piano politico registra da un lato l’asse giustizialista Pd-Idv-Udc (i centristi hanno votato coi democrat a favore delle dimissioni di Cosentino), dall’altro la compattezza della maggioranza (finiani compresi) che, al di là del caso specifico, respinge con forza il “tentativo di trasformare l’Italia nella Repubblica dei pentiti” come scandisce il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello nell’intervento in Aula.

Il senso è chiaro: dalla Campania alla Sicilia, da Cosentino a Berlusconi passando per i pentiti Vassallo e Spatuzza.  E se la maggioranza si batte perché non sia l’iniziativa di qualche magistrato politicizzato a sovvertire la volontà del popolo che è sovrano – è il ragionamento di fondo – con la stessa coerenza conferma la determinazione a impedire che siano le parole di un pentito a “stabilire chi abbia titolo e chi no a far parte del governo”. Anche perché l’intensificarsi dei rulli di tamburi sull’imminente ingresso sulla scena mediatico-giudiziaria del pentito di mafia Spatuzza che da Palermo chiama in causa Dell’Utri e Berlusconi svela l’ennesima aggressione giudiziaria contro il Cav. E “se consentiamo che sia Gaetano Vassallo a decidere che Nicola Cosentino non può sedere fra i banchi del Governo, cosa diremo al nostro popolo, al popolo italiano, quando altri pentiti, da altri palazzi di giustizia, cercheranno di riscrivere la storia del nostro partito, la storia del nostro leader, la storia del nostro Paese?” si chiede Quagliariello.

Del resto, ieri c’è stato un primo assaggio di quello che potrebbe profilarsi da qui al 4 dicembre quando lo stesso Spatuzza deporrà al processo, con le dichiarazioni sul presidente del Senato Renato Schifani che, secondo il pentito, avrebbe incontrato il boss Filippo Graviano ai tempi in cui esercitava la professione forense a Palermo. Schifani respinge con forza le accuse e annuncia querele, Pdl e Lega fanno quadrato.  In Aula Maurizio Gasparri rivendica l’azione dei governo sul fronte della lotta alla mafia e alla criminalità organizzata: ricorda come proprio in questa legislatura è stato inasprito il carcere duro per i mafiosi (41bis), sono stati assegnati maggiori poteri alla Procura nazionale antimafia; sono state varate norme sulla confisca dei beni. Non solo: il "modello Caserta lo si deve a questo governo, che ha spazzato via intere cosche in tutte le parti d’Italia e soprattutto in Campania e in Provincia di Caserta. Questo noi lo rivendichiamo e non prendiamo lezioni di antimafia da nessuno", incalza il presidente dei senatori del Pdl. Dall’opposizione la sentenza su Cosentino è già scritta, sull’onda del teorema che siccome è di Casal di Principe allora deve avere per forza contatti con il clan dei Casalesi. Bastano le accuse dei pentiti e il gioco è fatto. Un’operazione di delegittimazione che prescinde dai tanti dubbi che l’inchiesta e la sua tempistica sollevano.

Le stesse perplessità che Nino Lo Presti (Pdl), relatore nella Giunta per le autorizzazioni della Camera evidenzia sostenendo l’idea del "fumus persecutionis" proprio a causa della tempistica del procedimento giudiziario: i reati contestati – è il concetto – risalgono ad un arco temporale compreso tra il 2001 e il 2004 ma soltanto adesso i pm avviano il procedimento, nonostante il primo pentito abbia parlato anni fa e lo stesso Cosentino abbia più volte chiesto di essere ascoltati dai magistrati. Dunque, rileva Lo Presti, un "fumus oggettivo" che va oltre il fatto se le carte inviate dalla procura alla Camera dimostrino o meno i gravi indizi di colpevolezza a carico del sottosegretario. Diametralmente opposta la tesi dell’opposizione. Il Pd con Marilena Samperi dice di aver aderito alla richiesta del gip perché nel provvedimento abbiamo trovato elementi documentali, intercettivi e investigativi che dimostrano riscontri oggettivi dei gravi indizi di colpevolezza di Cosentino". Alla fine, la richiesta di arresto viene respinta con gli 11 voti contrari del Pdl e quello dell’Udc Domenico Zinzi, mentre il suo collega di partito Pierluigi Mantini vota a favore insieme al Pd (sei sì mentre il radicale Maurizio Turco, pur contrario, si è astenuto).

Puntuale arriva l’arriga di Di Pietro che si rimette la toga e giudica "una vergogna per i cittadini l’assoluzione di Cosentino da parte del Parlamento". La replica del presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto è altrettanto netta: "E’ evidente che per Di Pietro e qualche altro l’unica linea possibile è quella delle manette". In Transatlantico c’è chi nelle file del centrodestra rievoca il clima del ’92-’93 quando esplose Tangentopoli puntando l’indice sul Pd che allora come oggi "tenta la solita operazione di delegittimazione per spostare l’attenzione sulle responsabilità politiche che nel caso della Campania stanno tutte nei quindici anni di goveno Bassolino. Una raffinata operazione sul piano mediatico e dei rapporti rinsaldati con certa magistratura militante, attraverso la quale ricostruirsi una verginità". Ma c’è un altro aspetto che dalla maggioranza fanno notare: la nomina di Orlando a responsabile della giustizia al posto del magistrato Tenaglia letto come un segnale del cambio di rotta nell’era di Bersani è durato solo il breve spazio di quarantott’ore. Tra due settimane il caso Cosentino torna a Montecitorio per il voto definitivo dell’Aula. Sarà quello un nuovo banco di prova anche per la tenuta della maggioranza. Dopo i distinguo dei finiani.