La magistratura ha sconfitto le BR ma non è risalita ai “mandanti politici”
20 Gennaio 2010
di Daniela Coli
All’efficienza nel perseguire i finanziamenti illeciti dei partiti politici, non ha corrisposto una simile energia dei magistrati nei confronti del terrorismo. Con la legge sui pentiti, approvata nel 1982 per sconfiggere il terrorismo, i magistrati non si sono mai posti finora il problema dei fiancheggiatori e dei mandanti politici, ma si sono limitati a raccogliere le denunce dei pentiti sui compagni di lotta armata e ad assicurarli alla giustizia. I pentiti non denunciarono mai la folta schiera di fiancheggiatori, che li aiutavano a vivere in clandestinità, fornivano indicazioni sulle abitudini degli obiettivi da colpire, tenevano contatti con politici, giornalisti, intellettuali, accademici, i quali, come dichiaravano pubblicamente, non erano “né con lo stato, né con le bierre”.
Gian Carlo Caselli ha escluso categoricamente la possibilità di mandanti politici per le brigate rosse, perché strutturalmente diverse dalla mafia, diversamente da Rossana Rossanda e Moretti e da Franceschini, che ha parlato anche di magistrati compiacenti. Nella prefazione al libro di Moretti, Rossana Rossanda afferma che le brigate rosse non erano un gruppo chiuso e isolato come la Raf, ma avevano ampio consenso nell’università e in altri luoghi di lavori, una complicità simile a quella della mafia. Alberto Franceschini, nel libro sulle br scritto con Fasanella nel 2004, afferma che nel 1974 il Pci contattò il gruppo di Reggio Emila di Franceschini e Prospero Gallinari chiedendo loro di chiudere col terrorismo e di presentarsi al giudice compagno Ciro De Vincenzo, che nel 1973 invitò Franceschini e Curcio a fare un viaggio in barca. Un giudice in barca con due brigatisti latitanti: il generale Dalla Chiesa, il nemico più odiato dai brigatisti, lo accusò di connivenza con i terroristi nel ’74: i magistrati milanesi manifestarono solidarietà per il collega e nel ’76 il tribunale di Torino lo scagionò da ogni accusa.
Anche su questo tipo di complicità sarebbe opportuno indagare per sradicare la mala pianta del terrorismo, che rispunta nuovamente. I magistrati hanno smantellato la struttura militare del terrorismo, ma non hanno indagato sui rapporti tra terrorismo e politica, come hanno fatto per le tangenti, arrivando addirittura al teorema che Craxi non poteva non sapere. Eppure ebbero colleghi uccisi dai terroristi, come accadde a Emilio Alessandrini nel 1979, ucciso da Prima Linea su cui indagava e a Guido Galli, ucciso il 19 marzo 1980 da Prima Linea a Milano, dove poco dopo il 28 maggio sarebbe stato ucciso Walter Tobagi. Per i giudici uccisi dal terrorismo, però, non c’è mai stata da parte della magistratura solidarietà e indignazione. Alessandrini e Galli non sono diventati gli eroi della magistratura. Mario Sossi, rapito dalle brigate rosse nel 1974, venne addirittura ridicolizzato dai giornali perché trovava i covi brigatisti e la sinistra diceva che era fascista. Francesco Coco fu assassinato dalle brigate rosse a Genova nel 1976 insieme a due agenti di scorta a colpi di Skorpion, la mitraglietta simbolo del terrorismo rosso, ma anche per Coco i magistrati non hanno mai sparso lacrime. Oggi, se una trasmissione televisiva ironizza sui calzini di un giudice, la magistratura insorge, mentre rimase immobile vedendo sequestrare Sossi e uccidere Coco, Alessandrini, Galli.
La procura fiorentina, che con lo scomparso Gabriele Chelazzi aveva avviato indagini per accertare se il mandante della strage fiorentina di via Georgofili fosse Berlusconi, è la stessa che ha archiviato dopo 23 anni, nel febbraio 2009, l’omicidio di Lando Conti, l’ex sindaco repubblicano di Firenze ucciso il 10 febbraio 1986 da un commando brigatista. Come ha scritto Roberto Rossi sull’Unità, c’è un omicidio, una mitraglietta Skorpion che ha ucciso cinque persone nel giro di dieci anni, ma non si saprà mai chi l’ha utilizzata. Per quell’omicidio sono stati condannati all’ergastolo tre persone e per un’altra sono stati dati 30 anni, ma non si saprà mai chi sparò all’ex sindaco e chi guidò l’auto. L’inchiesta, riaperta dopo l’arresto nel 2003 di Nadia Desdemona Lioce, condannata per gli omicidi D’Antona e Biagi, è stata definitivamente chiusa. Lo Skorpion del delitto Conti è lo stesso che 1978 uccise due giovani missini ad Acca Larentia, nel 1985 l’economista Ezio Tarantelli, nell’88 il democristiano Roberto Ruffilli, che si occupava di riforma dello stato.
Lo Skorpion fu ritrovato a Milano nel covo brigatista di via Dogali nel giugno 1988. Per i magistrati i terroristi hanno sempre agito da soli e da soli hanno scelto le vittime. È possibile che D’Antona e Biagi, giuslavoristi, conosciuti solo da una ristretta cerchia di colleghi, fuori dai riflettori, siano entrati nel mirino di persone come la Lioce e i suoi compagni: un portantino dell’ospedale di Careggi e un operaio del Comune di Firenze? È possibile sia stata soltanto Barbara Balzarani, una terrorista clandestina, la mandante dell’omicidio di Ezio Tarantelli? Nel 1985 non c’era google, né internet, e non era possibile leggere l’orario delle lezioni di un docente sul sito web dell’università. E come è accaduto che lo Skorpion che uccise a Acca Larentia, vicino a Roma, alla Sapienza, a Firenze e a Forlì sia finito a Milano? Sono domande che aspettano risposte. Non darle potrebbe comportare il pericolo di una nuova ondata di brigate rosse e il sospetto che alla nostra magistratura non interessi affatto indagare su questo fenomeno.