La manovra è legge, la Camera sotto tiro: bombe carta e guerriglia
14 Settembre 2011
Come in un campo di battaglia dove, alla fine della battaglia sul campo restano i segni della follia: cuori di animali, petardi, bombe carta, monetine, bottiglie, scarpe, uova, vernice, cassonetti rovesciati, scooter riversi sul selciato. Due ore di follia. Piazza Montecitorio come un campo di battaglia, nello stesso momento in cui alla Camera la manovra numero 4 diventa legge. Scene viste e riviste, purtroppo. Clima pesante, contestazioni, violenza. E quando la protesta – pure dura e intransigente – dilaga nella violenza, perde la sua legittimità.
In due ore, gli ‘indignati’ (Cobas e Usb) hanno trasformato un presidio anti-manovra, con tanto di accampamento permanente, in una guerriglia urbana: in piazza hanno lanciato di tutto. Tensione e tafferugli con le forze dell’ordine. Il primo a farne le spese è stato Andrea Ronchi, ex Fli ora nel gruppo misto. Quando è uscito da Montecitorio si è beccato la contestazione, degenerata quando si è avvicinato ai manifestanti per chiedere conto. Uno di loro gli ha urlato: “Io guadagno in un anno quello che tu guadagni in un mese, non ti vergogni?”. E’ il là al coro di insulti che ha travolto l’ex ministro: gli è arrivato addosso di tutto. “Cialtroni di m…siete la vergogna d’Italia” è stata la sua reazione. Poco dopo, si è scatenato il caos. Il gruppo ha ingrossato le fila, centinaia di manifestanti hanno urlato ‘dimissioni’, lanciato petardi e alcune bombe carta. Le forze dell’ordine hanno disperso i contestatori che hanno improvvisato un corteo sfilando lungo i Fori Imperiali, fino al Colosseo, promettendo dagli altoparlanti che non è finita qui. “Oggi è successo qualcosa di grave e a nulla è servita l’indignazione che abbiamo fatto sentire in questi giorni sotto i palazzi del potere a Roma. Con queste piazze piene e con la nostra rabbia li manderemo tutti a casa”. Clima pesante. Come quello che ha scandito la lunga giornata a Montecitorio, con le opposizioni a fare muro e a battere il tasto delle dimissioni del premier. Il governo ha incassato il sì alla fiducia con 316 sì (la soglia più alta finora, dopo il famoso voto di fiducia del dicembre scorso) e a tarda sera il via libera al decreto come riformulato al Senato, ma ora dovrà fare i conti con gli effetti di una manovra pesante che scatena le critiche di Confindustria, sindacati, amministratori. Di centrosinistra e di centrodestra (vedi Alemanno, Polverini, Tosi, Formigoni). Oggi lo sciopero simbolico dei sindaci, la mobilitazione dei presidenti di Provincia e di Regione: un’altra giornata ad alta tensione. In mattinata Berlusconi è salito al Colle per fare il punto della situazione con Napolitano dopo gli incontri a Strasburgo e Bruxelles e dal capo dello Stato ha ricevuto la sollecitazione sulla necessità di consolidare l’euro in un momento così delicato per tutta l’Europa (ieri le Borse hanno tirato il fiato e lo spread tra Btp e Bund si è ridotto rispetto ai giorni scorsi). Ma nei rumors di Palazzo c’è anche chi ipotizza che all’inquilino del Quirinale, il premier abbia anche accennato l’idea di un decreto legge sulle intercettazioni ‘per stoppare lo stillicidio quotidiano’ e tutelare la privacy dei cittadini. In cambio, avrebbe ricevuto più di una perplessità, tanto che a tarda sera l’ipotesi era ancora sul tappeto seppure più vicina all’archiviazione, secondo i commenti di molti deputati pidiellini. Sul fronte della maggioranza il passaggio di ieri, non risolve del tutto le fibrillazioni interne. Specie tra Pdl e Lega. Lo si capisce quando Fabrizio Cicchitto nel suo intervento in Aula ha ribadito che adesso occorrerà aprire una riflessione. E la riflessione ruota attorno a un concetto che fino a ieri era rimasto sullo sfondo: nuove misure anti-crisi. Il presidente dei deputati Pdl lo ha spiegato così: “Una volta fatta questa manovra dobbiamo aprire una riflessione: una operazione che riguarda la crescita e soprattutto il problema di fare i conti con il debito pubblico”. Tutto ciò implica “una operazione di finanza straordinaria che va al di là di ogni schema e che riguarda le dismissioni, l’Irpef per gli alti redditi e le pensioni”. Bossi, però, ha detto tutt’altro: ha rivendicato il fatto di aver stoppato il pressing dell’Europa a mettere mano alla riforma previdenziale e in Aula la Lega ha messo ai voti un emendamento sull’abbassamento dell’età pensionabile per le madri che lavorano. Che significa? Che il nodo-pensioni non è affatto archiviato e che su questo potrebbe riaprirsi un braccio di ferro tra alleati. Tanto che tra i parlamentari più navigati, si fa notare come non potrebbe essere casuale l’orientamento del Carroccio – annunciato da Bossi – a lasciare libertà di coscienza sul voto per l’arresto di Milanese (ex braccio destro di Tremonti) chiesto dalla procura di Napoli e calendarizzato la prossima settimana a Montecitorio. Una mossa dopo il no alle manette votato proprio ieri insieme al Pdl in Giunta per le autorizzazioni che, secondo le letture più maliziose, il Senatur intenderebbe giocare a suo favore nella partita sulle pensioni. Come chiede Bruxelles, insieme a riforme strutturali e misure per la crescita.
Già la crescita, termine che in questi tempi di crisi fa il paio con altre parole ormai entrate nel lessico comune: spread, default, bailout, Bund, Btp, solo per citarne alcune. Proprio oggi al ministero del Tesoro si ragiona sul “dossier sviluppo” che dovrebbe portare entro la fine del mese a un decreto legge con la cura per rivitalizzare il Pil. Tremonti e i super-tecnici di via XX Settembre incontreranno Confindustria e Abi, in un primo tavolo dedicato con le parti sociali, del quale tra l’altro, avrebbe parlato il Cav. nel faccia a faccia con Napolitano. Ci sono poi i dossier ai quali sta lavorando il ministero per lo Sviluppo economico e già sul tavolo di Romani: reti di impresa, export e come ha lasciato intendere lo stesso ministro grandi reti energetiche e di nuova generazione per le telecomunicazioni. Ma c’è un dossier che in molti in Transatlantico dubitano potrà essere aperto: quello sulle liberalizzazioni se è vero come è vero – è il ragionamento – che già a luglio in parlamento ci fu uno sbarramento (specie dalle file della maggioranza) sulla norma della manovra ‘versione 1’ che prevedeva, appunto, la liberalizzazione delle professioni.