La maturità, la scuola e quegli anni ’70 che ci hanno rovinato

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La maturità, la scuola e quegli anni ’70 che ci hanno rovinato

30 Giugno 2011

TEMA DI ARGOMENTO STORICO

Lo storico Eric J. Hosbawn definisce Secolo Breve gli anni che vanno dall’esplosione della prima guerra mondiale fino al collasso dell’URSS. A suo giudizio, “la struttura del Secolo breve appare come quella di un trittico o di un sandwich storico. A un’Età della catastrofe, che va dal 1914 sino ai postumi della seconda guerra mondiale, hanno fatto seguito una trentina d’anni di straordinaria crescita economica e di trasformazione sociale, che probabilmente hanno modificato la società umana più profondamente di qualunque altro periodo di analoga brevità. Guardando indietro, quegli anni possono essere considerati come una specie di Età dell’oro, e così furono visti non appena giunsero al termine all’inizio degli anni ’70. L’ultima parte del secolo è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi – e addirittura, per larghe parti del mondo come l’Africa, l’ex URSS e le ex nazioni socialiste dell’Europa orientale, un’Età di catastrofe”.

Il candidato valuti criticamente la periodizzazione proposta da Hosbawn e si soffermi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento.

Anzitutto “la periodizzazione proposta da Hosbawn”. Il sandwich è una cosa, e il raviolo al vapore un’altra. Dubito che i cinesi abbiano vissuto il Grande Balzo in Avanti come “una specie di età dell’oro”; ed anche che abbiano vissuto il loro ultimo trentennio come “una nuova epoca di decomposizione”. La storia nella mente del Grande Professore è eurocentrica (in questo un punticino di contatto con Carl Schmitt sembrerebbe avercelo); e se lui si autoriduce il campo visivo a maggior ragione anch’io. Figurarsi se posso pronunciarmi sugli eventi che hanno caratterizzato il mondo negli anni ’70. Cominciano che mi muore Jimi Hendrix, e finiscono con la rivoluzione khomeinista. Tu chiamale, se vuoi, decomposizioni. 

“Si soffermi sugli eventi che a suo parere caratterizzano gli anni ’70 del Novecento”. In Italia, suppongo. Dove cominciano con l’istituzione delle Regioni e lo Statuto dei Lavoratori. E finiscono via legge Basaglia con la chiusura dei manicomi (astenersi ironie). Insomma alla faccia della decomposizione qualcosa ci si provava a riformare. Che poi riformare non vuole dire fare meglio; ma solo e appunto “ri-formare”. Il dopo può essere peggio (ed anche assai) del prima. Però cambiare vuole comunque e sempre andare contro a interessi costituiti; ed una politica che “cambia” dà un segnale di esistenza in vita. Il resto è minestrone; e da allora e con scarse eccezioni palude.

In mezzo tante cose. E tra tante il referendum sul divorzio. Quasi banale, vista da adesso. Però sono passati quasi quarant’anni, e quel che ci resta della politica fa a gara a dire che se c’è un residuo portatore di cultura laica non è sano e non sono io. La decomposizione insomma c’è stata; però dopo. 

E tra le cose i grandi traumi. Anni ’70 ovvero terrorismo. Che aveva da noi terreno di coltura, e fertile. Efferato nelle sue forme. I peccati di sangue non si rimettono, neanche 40 anni dopo. Però nel cordoglio per chi ci è rimasto cerchiamo di non farne quel che non è stato. L’idea che bastassero i Curcio e i Bonavita, per non parlare di quelli come Sandalo che nemmanco avevano passato gli esami per entrarci, a mettere in pericolo il nostro Stato e la nostra democrazia faceva ridere persino me, all’epoca giovane-pirlino-manifestaiolo-di-movimento. Figurarsi Andreotti, che invece ne capiva.

E indizi, come direbbe il Grande Professore, “di decomposizione, di incertezza, di crisi”?.

Forse anzitutto la fine, o quasi, dell’imprenditoria industriale come ce la tramandavano; ed insieme l’incontinenza mai poi curata della cultura della spesa pubblica a fini di consenso.

Anni sessanta. I soldi si fanno ancora con la fabbrichetta che diventa fabbricone. Dai frigoriferi ai salumi a quel mammut che è la chimica. Poi recedesi. C’è il credito da salvare, parbleu. E soprattutto (?) l’occupazione. Le Partecipazioni Statali come alternativa sociale alla Cassa Integrazione ( e poi come traghetto verso la stessa). La spesa pubblica come salvagente sociale (e medio del reclutamento partitico dei discrezionalmente salvati). Un sistema finanziario a nomina tutta partitica.

Ti ritrovi con un sistema dove oltre il 70% del PIL a spesa pubblica allargata e in pratica il 100% del credito è a controllo politico. Le accumulazioni originarie si fanno soprattutto nell’edilizia (poi altre se ne faranno in settori ad alto potenziale di evasione e di esportazione assistita dalla debolezza della lira, ma questo è solo un tema di maturità e se mai arriverò a fare una tesi prometto che approfondisco). Dove edilizia vuol dire credito dalle banche della politica e concessioni amministrative dalle sue emanazioni locali. Non sono sicuro che vent’anni dopo quelli di Mani Pulite l’avessero capito benissimo.

Dice. E i grandi privati? Quelli che a seconda di come li guardi finisci che li chiami indifferentemente capitalisti illuminati o poteri forti? Quelli già non c’erano da tempo. E gli ultimi che facevano o fingevano industria si arresero in fretta. La produttività crolla. Il prodotto sarà anche buono in progetto, ma appena entra in catena la qualità svapora (Alfasud e Alfanissan docent). Il diritto al (non) lavoro manda in cielo il costo del lavoro. Però sulla puzzonità (vera e presunta) del” nuovo” operaio si può far leva. Nuovo operaio nuova religione. La nuova religione trova pubblica e definitiva sanzione. Proclama il peccato di investimento; e l’obbligo di operare solo con soldi altrui. Mediobanca è il tempio, Cuccia il Patriarca. E l’accordo con cui Fiat compra dallo Stato Alfa Romeo la celebrazione dell’equilibrio del sistema. Quarant’anni dopo, chiedetevi perché adesso adorano poter investire in infrastrutture o in rinnovabili.

Finisce l’ambizione al primato dell’industria e si installa un sistema di finanza opaca, negoziata anziché competitiva, in perenne commistione di pubblico e privato. Ed insieme si fa regola la mancanza di paletti a qualunque spesa pubblica categorizzabile come “sociale”. 

Basta a parlare di decomposizione? Magari no .Quarant’anni dopo La politica potrebbe ancora non rendere irreversibile il processo. E magari sull’orlo del baratro ti ritrovi un altro Amato che, essendo politicamente irresponsabile (nel senso di non dipendente dal consenso elettorale) ti ruba nottetempo ma ti porta in Europa.

La malattia degli anni 70, fosse solo questa (e se pensi al debito pubblico che ci lascia è già più che tantissima) è forse e seppure con grande difficoltà curabile. Se non fosse per un dettaglio. Gli anni settanta sono stati il decennio in cui ci siamo fottuti la scuola. Ho fatto la maturità nel 72. Mi sono laureato nel 76. A fine decennio erano già un altro liceo ed un’altra Università. E poi per mancanza di fondi ed esuberanza di organico e distruzione del merito sempre peggio. Non prendetevela con gli insegnanti di sinistra. E neanche con gli insegnanti. E’ stato l’uso della scuola come alternativa alle Partecipazioni Statali. Serbatoio di occupazione in attesa di Cassa. Ed anche ed insieme la fine dell’investire in infrastruttura e ricerca, che la spesa se ne andava in salari. E che se ne vada a picco la formazione. Mi sono ritrovato or è qualche anno un sussidiario (ai miei tempi si chiamavano così) di mia figlia. Editore uno dei classici editori scolastici italiani. Motto della Rivoluzione Francese “Liberté, Egalité, Humanité”. Ed ampi accenni ad una seconda Rivoluzione Industriale che aveva tra i suoi motori la diffusione dell’uso del caucciù. E’ lo sviluppo naturale del percorso che abbiamo cominciato allora. Con il terrorismo puoi sopravvivere fino a sconfiggerlo. Il debito e la finanza opaca sono forse reversibili. Ma ricostruire una scuola e una ricerca è lavoro di generazioni. Gli anni settanta ci hanno fottuto. Me la sento una colpa anche mia.

P.S. Tre noticine

1. Il libro di Hosbawn in originale titola Age of extremes – The Short Twentieth Century 1914-1991. Estrapolare per gli studenti una citazione sugli anni settanta senza dirgli che il secolo anche se breve finiva dopo mi pare inutile crudeltà.

2. La maturità (?) 2011 è in media per nati nel 1992. E’ segreto di Pulcinella che quando gli va bene ai figli nostri a scuola riescono a dare l’informazione privilegiata che fuvvi una seconda guerra mondiale, e (al netto di lodevoli eccezioni) si fermano lì. La scuola sta chiedendo al “candidato” di dirle che cosa sa di ciò che non gli ha insegnato. Internet, giornali, libri, mamma e papà. Magari a qualcuno è venuto in mente di scrivere, per insegnamento familiare, che una caratteristica degli anni ’70 era che all’epoca i servizi d’ordine sapevano (volendo) fare il loro mestiere. Adesso neanche loro.

3. Dove si dimostra (1+2) che quelli che fanno i temi al Ministero sono figlie sono figli della scuola che è venuta dopo.