La mediazione civile e commerciale s’ha da fare, eccome!
21 Gennaio 2014
E dire che parte dell’Avvocatura ci ha provato e ci sta provando ancora. Niente da fare. A nulla sono valsi i ricorsi ai Tar e alla Corte Costituzionale. A nulla è valsa la richiesta di sospensiva al Tar del Lazio dopo la reintroduzione della mediazione come “condizione di procedibilità” con il Decreto del Fare. Parafrasando al contrario il grande Alessandro Manzoni, “questa mediazione s’ha da fare”.
A ribadirlo, non il titolare di un organismo di conciliazione, ma nientepopodimenoche il Parlamento europeo. Che, dopo l’apertura di un procedimento di infrazione nei confronti di diversi paesi, tra cui l’Italia, ha “sentenziato” (con buona pace dei detrattori) che il modello italiano di mediazione è quello al quale gli altri paesi europei dovrebbero uniformarsi.
Che l’Italia abbia concepito il miglior modello di mediazione tra i paesi europei è emerso durante un convegno, tenutosi il 16 gennaio presso la Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati. Alla presenza di relatori di tutto rispetto. In primis del ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. La quale ha sottolineato l’importanza dei metodi alternativi di risoluzione delle controversie, sia in Stati di civil law che in Stati di common law. Una questione tutta di cultura, ha giustamente rimarcato il Guardasigilli. Ma per far sì che anziché andare davanti ad un giudice per cercare di risolvere una lite si vada davanti ad un soggetto terzo, contrastando così l’intasamento dei tribunali e l’eccessiva lunghezza dei processi (in Italia oltre 1.210 giorni di media per uno solo dei tre gradi di giudizio, che fanno più di tre anni), è necessario, ha ancora sottolineato il ministro Cancellieri, che la loro parte la facciano gli operatori del diritto, favorendo e caldeggiando lo strumento conciliativo.
D’altronde i numeri sono numeri e i dati ministeriali parlano chiaro: nel periodo di vigenza della mediazione obbligatoria (cioè prima che venisse “sospesa” con la sentenza della Corte Costituzionale n. 272 del 6 dicembre 2012, che comunque – va precisato – non ha mai messo in discussione la costituzionalità del Decreto Legislativo n. 28/2010, parlando unicamente di “eccesso di delega”), dunque marzo 2011-ottobre 2012, la percentuale di successo delle mediazioni in cui i soggetti si sono presentati (un terzo di quelle attivate) è pari a 50. Calcolatrice alla mano, significa una riduzione di quasi il 20 per cento del carico dei tribunali ordinari.
Concetti ribaditi nei successivi interventi dagli altri illustri relatori: Giorgio Santacroce, Primo presidente della Corte di Cassazione, il quale ha sottolineato come la mediazione, da settembre 2013 (da quando, cioè, è stata ripristinata con il Decreto del Fare), abbia ripreso slancio: “In un solo mese è stato depositato il 27 per cento in più di istanze rispetto a quelle depositate nei nove mesi di sospensione”. Il presidente Santacroce ha pure evidenziato come la mediazione segni il “passaggio da una giustizia elitaria a una giustizia di massa” e come sia “una rivoluzione, non solo come strumento di deflazione per ridurre il carico di lavoro dei giudici ma come strumento fondamentale di accesso alla giustizia”.
O, ancora, l’applauditissimo Michele Vietti, vicepresidente del Csm, il quale (parlando anche del riordino della geografia giudiziaria) ha sottolineato come il settore della giustizia non possa chiamarsi fuori dalle svolte epocali e debba necessariamente sincronizzare i propri orologi con quelli della società civile moderna: “Non può esserci disfunzione tra il fuso della giustizia e il fuso orario dei cittadini”. Entrambi, così come fatto anche precedentemente dal ministro, hanno sottolineato quanto sia importante la preparazione dei mediatori e la qualità degli organismi, nei confronti dei quali proprio il ministero ha attivato una seria campagna di vigilanza. Santacroce e Vietti, poi, si sono spinti oltre, sottolineando come non si sentano affatto preoccupati dalle inesistenti eccezioni di costituzionalità circa l’obbligatorietà del tentativo di mediazione sollevate da qualcuno.
Ma il tema del convegno era “La mediazione in Europa e in Italia”. Dunque sull’argomento era importante anche conoscere il punto di vista di Strasburgo. A fornirlo con un videomessaggio Cecile Wikstrom, del gruppo Liberale al Parlamento europeo, nonché componente della relativa Commissione Giuridica. La quale ha sottolineato quanto “andare in tribunale sia più rischioso e costoso” che non andare in mediazione. Uno strumento, quest’ultimo, valido per consumatori e imprese, soprattutto in tempi di recessione. La Wilkstrom, poi, mettendo in evidenza quanto il modello conciliativo italiano, così come concepito dal Decreto Legislativo n. 28/2010, sia quello al quale gli altri paesi dovrebbero uniformarsi, senza mezzi termini ha affermato che “la Ue deve obbligare ogni paese a fare un certo numero minimo di mediazioni ogni anno”. Obbligare, dunque. Perché è stato appurato che “la mediazione volontaria non produce gli stessi effetti”.
A parlare di mediazione in Europa anche il professor Giuseppe De Palo, presidente di AdrCenter, nonché coordinatore di uno “studio” realizzato da Strasburgo sull’attuazione della Direttiva (la n. 52 del 2008) in materia di mediazione. La stessa che ha condotto all’apertura di diverse procedure di infrazione nei confronti degli Stati membri, tra cui l’Italia. De Palo ha colto l’occasione del convegno per anticipare un po’ di dati, che verranno estrinsecati in maniera più completa la settimana prossima proprio a Strasburgo. L’indagine ha calcolato che se tutti i casi di lite passassero per la mediazione e si trovasse l’accordo una volta su due, in Italia si avrebbe un risparmio medio pari a 588 giorni e a 3.315 euro. A livello europeo basterebbe un tasso di successo del 19 per cento per rendere la mediazione più conveniente rispetto al processo, dato che sale al 24 per cento se si considera anche l’aspetto dei costi.
Era giusto, in un convegno di questo calibro, dare voce anche a chi di mediazione non vuole proprio sentirne parlare. Quanto meno non nei termini del Decreto Legislativo n. 28/2010. A farlo, il presidente del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa, che ha enucleato una parte del cahier de doléances dell’Avvocatura nei confronti dell’istituto giuridico, “un atteggiamento non certo di pregiudizio – ha tenuto a precisare Alpa – visto che dei 156 ordini forensi italiani ben 122 hanno comunque aperto organismi di mediazione”.
Pregiudizio o no, resta il fatto che i ricorsi ci sono stati eccome. Ma, piaccia o no, la mediazione e gli altri metodi alternativi per la composizione delle controversie rappresentano il futuro. Anche in Italia.