La Mercedes di Tonino e l’etica del pudore

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La Mercedes di Tonino e l’etica del pudore

03 Dicembre 2010

Anni fa si disse e scrisse  che il dottor Di Pietro aveva, come si dice in burocratese, la disponibilità di una Mercedes e di un appartamento non lontano dal Duomo; e che entrambe le utilità gli fossero state messe a disposizione da un amico imprenditore.

Sembrò aprirsi il cielo. Craxi nell’immediatezza quasi ruggì, che la vendetta si faceva possibile. Poi il nulla. Anzi, peggio. Un profluvio di udienze e processi che finirono in assoluzione. Ricevere un favore non è di per sè e da solo un illecito penale; e la Mercedes non era reato. Poteva essere al più, e ammesso che la Mercedes ci fosse, disciplinarmente rilevante; ma le dimissioni dalla magistratura preclusero quel giudizio.

Se ci riandate con il ricordo, non ci fu poi più dato sapere di nulla. Eppure il fatto che un uomo pubblico, politico od altro,goda di utilità fornite da un imprenditore può essere rilevante anche quand’è  “innocente”. Dovrebbe fare informazione e contribuire a formare il giudizio “pubblico” sulla sua idoneità, magari etica, a governarci o giudicarci. Niente. La Mercedes  scomparve dall’informazione, e l’appartamento anche.  Di quell’episodio è  rimasta solo e in tutti memoria che qualcuno cercò di perseguire (perseguitare?) penalmente il dottor Di Pietro, e che lui ne uscì immacolato. Se e cosa guidasse mancò poi l’inchiostro per scriverlo.

Fu forse lì che si inaugurò, con il fondamentale contributo della stampa nazionale, il nuovo paradigma della giustizia. La transizione dall’idea che un comportamento o è reato o non lo è, a quella per cui o è reato o non è. Se non è reato non esiste. E se non esiste, è inutile interrogarsi su un suo altro valore o disvalore. La questione stessa di sè possa essere “sconveniente”, non “etico”, “incompatibile con l’ufficio”, o altrimenti rilevante a fini pubblici o di pubblico giudizio e apprezzamento è tombalmente preclusa. Assolto. Nell’immaginario collettivo che l’assoluzione induce non è stato tolto di scena il carattere asseritamente illecito dell’uso della Mercedes. E’ sparita  la Mercedes. Poi magari la Mercedes neanche c’era; ma se non è reato comunque non ce ne dobbiamo curare. Se non è reato è privacy (?).

Il paradigma “o è reato o non è” applicato tra mura domestiche peraltro  non funziona. Provate con un’assemblea di condominio. L’amministratore ha comprato un televisore al 50% di sconto dall’elettricista e si è fatto fare qualche lavoretto a casa dall’impresa di pulizie. “Nessuna tangente. Solo  favori”. Però la fornitura di gas l’abbiamo pagata il 30% in più del condominio a fianco. “Procedura ineccepibile . La magistratura farà chiarezza.” Sì ma Lei è pagato per amministrare i miei soldi, insomma per farmi risparmiare; e non per arricchire i nostri fornitori. “Nessun reato. Al massimo qualche ingenuità. Resterò al mio posto”. Non funziona.  Revocato all’unanimità.

Nel condominio Italia invece  funziona benissimo. Non si revoca (quasi) nessuno. E non, o non solo, perché non funziona la giustizia. Ma anche perché che si applichi il paradigma lo chiede e quasi supplica l’indagato. Se non è reato, sono per definizione un bravo e pure virtuoso amministratore, e non rompetemi le scatole col prezzo del gas. Una pacchia. L’indagine può transitare da escort, transessuali, intimità di banche e politica, improbabili frequentazioni sul modello Pensionati 3, o quant’altro. Che la magistratura giudichi. E se mi assolve il fatto non esiste. E se non esiste è inutile che me ne chiediate conto. “Scusi, è vero che le hanno regalato una casa? “. “Ma come si permette? Mica sono indagato, io”. Tengo ‘a privacy’, e alla privacy. Qualunque comportamento  non costituente reato diviene inapprezzabile ed incensurabile.  Il paradigma è multipartisan. L’etica va disciolta nel diritto. Una volta era roba da regime. Nel condominio Italia è decaduta a petizione depositata a mezzo stampa . Sono innocente, e dunque bravo.

Il giudizio di diritto preclude il giudizio di valore. La tua petizione sottrae il giudizio al popolo e lo delega in esclusiva al magistrato. Ti conviene e te ne compiaci. Però per coerenza non dovresti lamentarti se poi lui si allarga. Fare il giudice dell’etica non sarebbe il suo mestiere, che già con la semplice verità giuridica gli viene spesso difficile trarsi d’impiccio. Però sei tu che gli moltiplichi tentazione e giurisdizione.  Delegando potere ne stimoli l’uso, quando non anche l’abuso. Hai voluto trasformare il tuo processo nell’ordalia della tua moralità; e lui, il giudice, ti prende alla lettera. L’etica nel diritto te la scioglie davvero. Che reato sia. Se c’è stato meretricio che reato non è, figurati se non c’è stato anche suo sfruttamento che invece lo è. Ti si indaghi. Non c’è prova di corruzione; però si vedevano riservatamente. Associazione segreta, e dunque reato. Li si arresti. E così a seguire ed immaginare. Se ci si mette di puntiglio e gli vai eticamente di traverso, un qualche reato  comunque te lo trova. Anche far pipì in un cesso troppo illuminato, a pensarci bene, può essere offesa al pudore.

Poi dice la riforma della giustizia. Già fatto. Metti insieme toninismo e ghedinismo, la Mercedes e la privacy, e finalmente hai realizzato l’indipendenza del processo dal diritto. La regola abdica alla preferenza etica, e lei senza regola trasmuta spesso in pregiudizio. Per l’esito, quando non è pregiudicato, puoi solo affidarti a Dio e al caso.