La moneta elettronica, le fusioni miliardarie, l’attivismo del governo italiano. E io pago…
14 Ottobre 2020
Bancomat, Poste pay, simili e facsimili, l’importante è che sia moneta elettronica. Dico subito che, personalmente, e come categorie, nulla abbiamo contro la moneta elettronica se non i costi altissimi e sproporzionati. Anzi, in certi casi la moneta elettronica è solo un vantaggio: evita costi di assicurazione sul contante, funziona da antirapina, e molte altre cose.
Da tempo però si registra un attivismo, insolito e molto forte, del governo italiano attraverso normative di spinta e nemmeno troppo velate minacce. Perché? Perché c’è il covid! – così si dice -, c’è il covid e la moneta elettronica è più sicura. Ma costa!, dice qualcuno. Sì, costa, ma serve per stanare l’evasione fiscale da parte degli esercenti, la risposta. Con la moneta elettronica l’evasione sarà più difficile ed il governo incasserà più soldi. Ecc. ecc. ecc.
Ecco, in estrema sintesi questo è il mantra che ci viene propinato. Un autentico storytelling, costante e immutabile, che vuole l’Italia fanalino di coda nell’utilizzo della moneta elettronica e, a causa di questo fattore, relegata tra i Paesi meno moderni e, soprattutto, tra i Paesi che non contrastano efficacemente l’evasione fiscale. Soprattutto – ovvio – a causa di quei “cattivacci” degli esercenti che, a volte, osano non emettere scontrini fiscali. Non fa nulla se poi questi soggetti risultano essere vessati dalla più alta tassazione al mondo tramite gabelle governative e locali, e nulla può il fatto che queste aziende lamentino semplicemente gli alti costi delle transazioni che spesso per taluni settori (vedi rivendite degli ex monopoli statali) sorpassano i guadagni sulle vendite.
Nulla può fermare per una pausa di riflessione il nostro governo; proprio nulla. A nulla vale reclamare il fatto che le major dell’online mondiale (Google, Amazon, Facebook e soci) non paghino tasse sul territorio e quelle che pagano nei paradisi fiscali in cui hanno sede sono semplicemente risibili. Esse infatti obbligano all’utilizzo di moneta elettronica e ciò va semplicemente bene.
Qualcuno, temerariamente, ha persino osato far notare che talvolta i costi di ricarica, eseguiti per piccoli importi, sorpassano di gran lunga il tasso di usura, ma nulla, tutto bene, occorre usare moneta elettronica a prescindere e per i motivi che ho elencato sopra. Anzi, in risposta si organizzano lotterie fiscali, premi per chi utilizza più volte la carta di debito, tax credit e via dicendo.
Ebbene, tanta foga nello spingere queste carte sta diventando persino sospetta. Non si spiega tutto ciò con la presunta evasione. Chi vuole evadere, infatti, semplicemente usa altre metodologie. E chi non vuole evadere, a prescindere, si lamenta solo degli alti costi delle transazioni, sui quali però non si interviene.
Ecco però dal nulla spuntare una maxi fusione borsistica. NEXI e SIA (operatori del settore moneta elettronica) convolano a nozze nell’indifferenza mediatica, e danno vita a un campione da 15 miliardi di euro. Scopriamo che già oggi il colosso italiano è primo in Europa continentale per numero di esercenti serviti (più di 2 milioni), e primo per numero di carte (120 milioni), nonché per numero complessivo di transazioni (oltre ventuno miliardi). Ma come? Non eravamo la cenerentola delle carte? Tutto ciò comunque, grazie al ruolo della CDP (Cassa depositi e prestiti), verrà tenuto in mani italiane, ci viene fatto sapere. In sintesi NEXI incorporerà SIA e deterrà il 70% della nuova entità, e il restante 30% tramite SIA sarà controllato dalla CDP, creando un campione europeo a controllo italiano, grazie al munifico intervento di Banca Intesa che acquisirà un ulteriore 7%. Il tutto per la nascita di un colosso di settore con ricavi aggregati attuali di 1,8 miliardi di euro e un Ebitda (utili prima di tasse e interessi su debiti) di 1 miliardo di Euro.
Tutto più che legittimo e anzi positivo, salvo per un fatto: “I contributori all’affare sono i cittadini italiani, con le loro (salate) operazioni, e i donatori di sangue sono gli esercenti italiani che lasciano sul campo soldi veri per fare semplicemente il lavoro che farebbero comunque e meglio remunerati con i contanti”. Tecnicamente legittimo e, ripeto, forse anche utile per il Paese. Ma perché non essere chiari? E perché mettere in campo narrazioni devianti (lotta all’evasione) al fine di contrapporre cittadini ed esercenti e ottenere un surplus di transazioni, che inevitabilmente aumenteranno il peso di SIA (CDP e Banca Intesa) nell’affare senza remunerare adeguatamente i veri soci che sono i cittadini?
E come remunerare i cittadini? Con costi minori e competitivi, con costi addebitati per singola transazione e non per “valore della transazione”, fattore che davvero mette fuori mercato la moneta elettronica in Italia. Lo 0,7% (costo medio di una transazione bancomat da noi) di 1 Euro è diverso dallo 0.7% di 100 Euro. Questo accade in Italia e non accade in alcun altro Paese. In sintesi, all’estero si paga il costo della singola transazione indipendentemente dall’importo e in Italia si paga l’operazione in percentuale sull’importo del transato con notevole aggravio di costi.
Peraltro, occorre anche far conoscere questioni concrete che la narrazione mediatica italiana non mette in risalto, come il fatto che il numero di carte e di transazioni della Germania sia notevolmente inferiore rispetto a quello italiano. E non pare si possa dire che quella tedesca sia un’economia depressa, o che la Germania non faccia lotta all’evasione. Questo giusto per fare un esempio.
Morale? La moneta elettronica è sicuramente utile ma certo non è la panacea dei mali economici, e con tutto il rispetto i cittadini italiani meritano costi inferiori a prescindere, perché non è il mezzo a creare il valore economico quanto l’economia ad avere bisogno anche di mezzi elettronici per evolvere efficacemente e modernamente. Questo però nel rispetto dei cittadini e degli esercenti, dando loro il giusto valore al giusto prezzo, lasciandoli liberi di scegliere. E, soprattutto, non ingannandoli con false promesse di lotta all’evasione funzionali solamente alla creazione di business corporativi, controllati, e in ultima analisi solo più costosi per i cittadini stessi.