La morte di Bin Laden è solo un piccolo passo nella lunga lotta al terrorismo
16 Luglio 2011
La morte di Osama Bin Laden dev’essere considerata una vittoria nella lotta contro il terrorismo, ma è soltanto un piccolo passo nell’affrontare il fenomeno più vasto del jihadismo, fondato su un’ideologia che non sarà scalfita dalla morte di un singolo individuo, per quanto importante esso sia. Lo ha affermato il Prof. Vittorfranco Pisano, Capo del Dipartimento di Scienze Informative per la Sicurezza dell’Università Internazionale di Scienze Sociali. Nel corso dei lavori della Summer School tenuta dal Comitato Atlantico Italiano a Velletri, ove il Prof. Pisano ha tenuto una puntuale lezione intitolata “The Evolution of the Terrorist Threat in the Mediterranean”, è stato possibile scambiare alcune battute in esclusiva per i lettori de “l’Occidentale”, toccando i punti fondamentali della lotta al terrore.
Nonostante siano state siglate numerosi convenzioni e protocolli in merito, nessun documento internazionale ha mai fornito una definizione chiara e precisa di che cosa sia il terrorismo, generando una certa confusione terminologica tra gli studiosi, ma anche tra gli addetti ai lavori. Quali sono, a suo avviso, gli elementi fondamentali dai quali possiamo partire per giungere ad una definizione univoca della parola “terrorismo”?
Basandoci sull’osservazione empirica, possiamo affermare che il terrorismo è una forma di conflittualità – non convenzionale – caratterizzata da quattro elementi essenziali, che distinguono il terrorismo da altri fenomeni. Questi elementi sono: la violenza criminale, il movente politico, politico/religioso o politico/sociale, l’impiego di strutture e dinamiche clandestine e l’azione di aggregazioni non statali, talvolta col supporto di uno o più Stati. La violenza criminale distingue il terrorismo dall’uso legittimo della forza; il movente politico, politico/religioso o politico/sociale differenzia il terrorismo dalla delinquenza comune e dalla criminalità organizzata, che hanno fini prevalentemente economici e comunque non politici; la clandestinità distingue il terrorismo dalla violenza politica ordinaria, che avviene alla luce del sole; e l’azione da parte di aggregazioni non statali differenzia, in fine, il terrorismo da atti illeciti direttamente attribuibili a stati.
L’uccisione di bin Laden può essere considerata sicuramente un evento epocale, ma quali conseguenze possiamo trarne, nell’immediato ma soprattutto nel medio-lungo periodo?
L’uccisione di Osama bin Laden è stata sicuramente una vittoria importante per la comunità internazionale e per gli Stati Uniti in particolare, considerato anche il lungo periodo di ricerca che si è reso necessario per individuare il suo rifugio operativo. Realisticamente, non credo che lo si possa considerare il capo assoluto di al-Qaeda; era sì l’elemento portante nel contesto di un direttorio, in particolar modo a livello mediatico, progettuale e finanziario, ma non era l’unico decisore. Bin Laden ha sicuramente giocato un ruolo strategico con il suo apporto “carismatico” e la sua capacità imprenditoriale, ma è importante sottolineare come la stessa al-Qaeda sia parte di un fenomeno più esteso, il jihadismo, che predata al-Qaeda e che non si esaurisce con la scomparsa del cosiddetto sceicco del terrore. Nell’impostazione jihadista non prevale l’individuo, ma gli asseriti valori ai quali l’individuo si è dedicato e sono appunto tali “valori” che i “fedeli” sono chiamati a perseguire. Ciò non toglie che bin Laden sarà ricordato come un eroe e martire e che la sua uccisione ispirerà ulteriori attentati sia da parte di al-Qaeda sia da parte di altre aggregazione rientranti nella galassia jihadista.
Una delle minacce più sensibili per la comunità internazionale è sicuramente la possibilità che armi di distruzione di massa finiscano nelle mani di gruppi terroristici. Quanto è probabile un simile scenario e cosa si può per impedirlo?
Bisogna distinguere tra l’intenzione e la capacità di dotarsi di armi di distruzione di massa. Per i jihadisti l’acquisizione e l’impiego di tali armi costituisce un dichiarato “dovere religioso”. La volontà di raggiungere quello scopo è suffragata da specifici riferimenti in manuali di addestramento, testimonianze di ex militanti, episodi riguardanti atti preparatori e ricorrenti minacce di atti di terrorismo sempre più devastanti. Fortunatamente esistono ostacoli, seppure non insormontabili. Infatti, le difficoltà pratiche riguardano – in diversa misura per le armi nucleari, radiologiche, biologiche e chimiche – il reperimento, allestimento, trasporto, stoccaggio, conservazione, occultamento ed effettivo impiego, quest’ultimo nel caso delle sostanze biologiche e chimiche soggetto anche a condizioni meteorologiche. Vanno in ogni caso adottate contromisure, che includono il monitoraggio e l’analisi delle rispettive aggregazioni di stampo radicale islamico per capire la loro effettiva capacità operativa. Il livello di attenzione deve essere costante.
Quale può essere il ruolo, ed eventualmente anche i limiti, delle organizzazioni internazionali, in particolare della NATO, nel contrastare la minaccia del terrorismo
Il ruolo delle organizzazioni internazionali è sicuramente importante, in quanto è imprescindibile l’azione comune e coordinata per affrontare questo tipo di minaccia. Tuttavia, le organizzazioni internazionali risentono, ai fini pratici, della mancanza di una definizione universalmente recepita del terrorismo. Per quanto riguarda la NATO in particolare, va tenuto presente che essa nasce come un’organizzazione internazionale di tipo regionale protesa verso la sicurezza e la difesa militare collettiva nel contesto della Guerra Fredda, contesto cambiato con la simbolica caduta del muro di Berlino. D’allora la NATO si è resa disponibile, nel quadro di missioni militari, a svolgere quattro ruoli: l’anti-terrorismo, inteso come misure essenzialmente difensive; la gestione delle conseguenze, ovvero il contenimento di danni recati da atti terroristici; il contro-terrorismo, ossia le misure prevalentemente offensive; e la cooperazione militare in un contesto di coordinamento con iniziative economiche, sociali, giuridiche e informative. Non va dimenticato che il terrorismo va combattuto con strumenti ordinari e straordinari. L’impiego delle forze armate è uno strumento straordinario da impiegarsi ove necessario in supporto agli strumenti ordinari o in particolari contingenze in cui si rende indispensabile, ad esempio nel caso in cui determinate aggregazioni terroristiche si attestano in pianta stabile su di un territorio – come al-Qaeda in Afghanistan dal 1996 al 2001 – che diventa un trampolino di lancio per operazioni terroristiche a vasto raggio. Tutti ricordiamo l’11 settembre.
Parlando dell’Italia, il nostro paese è riuscito fortunatamente a contenere la minaccia terroristica sul territorio, evitando di subire attacchi sanguinosi come quelli di Madrid e Londra, tanto per rimanere alle città europee. Quanto è stata decisiva l’opera dei servizi di intelligence nostrani e quanto è importante mantenere alto il livello di allerta?
Il terrorismo è ormai un fatto quotidiano nella compagine umana globale. Pertanto il livello di prevenzione deve essere sempre alto sia a livello interno sia internazionale. L’opera dei servizi di intelligence – e non “servizi segreti”, terminologia che ritengo fuorviante – è fondamentale perché essi svolgono due importanti funzioni. La prima, di maggiore peso, è quella di raccogliere e analizzare informazioni, la cui accessibilità in diversi casi richiede canali non ufficiali o poco ortodossi tipici dei servizi d’intelligence, i quali operano a latere della polizia e della diplomazia. La seconda funzione, fra l’altro molto meno frequente, è quella di condurre operazioni speciali, anche denominate coperte, che nel caso del contrasto al terrorismo possono spaziare dal pagamento di ricompense a informatori all’infiltrazione di agenti in aggregazioni terroristiche o strutture parallele di supporto per sfaldarle dall’interno.