La morte di dj Fabo e la vita del piccolo Destiny
27 Febbraio 2017
Dj Fabo è morto. Preghiamo per lui, e siamo vicini al dolore di chi lo amava e ha condiviso la sua sofferenza. In questi giorni si è parlato molto della sua vita, dell’incidente che lo aveva reso cieco e tetraplegico, dell’angoscia che lo spingeva a chiedere la morte. Molte delle considerazioni e delle notizie apparse su giornali e tiggi erano però fuorvianti, spesso sbagliate, vere e proprie #fakenews. Si è detto, per esempio, che è stato costretto ad andare a morire in Svizzera perché la politica è lenta e non ha ancora approvato la legge sul testamento biologico. Non è così: dj Fabo era un disabile grave, che chiedeva esplicitamente di essere ucciso o aiutato a uccidersi. Si tratta cioè di suicidio assistito o eutanasia attiva, atti vietati dalla nostra legge e da quelle di quasi tutti i paesi europei, atti che continuerebbero ad essere vietati anche se fosse già vigente una legge sul testamento biologico.
Lo abbiamo già scritto, ma di fronte all’ondata di fakenews dei tiggì vale la pena ripeterlo: il biotestamento è un consenso anticipato a eventuali trattamenti futuri, qualora il soggetto non fosse più in grado di intendere, e quindi di esprimere la propria volontà . Fabo invece era perfettamente in grado di esprimersi, non era in stato vegetativo, o comunque in una condizione per cui non potesse più dare il proprio consenso, condizione che avrebbe reso utile l’esistenza di un testamento biologico (più precisamente, una “dichiarazione di volontà anticipata”). E nemmeno era un malato terminale, infatti non chiedeva cure palliative (doverose, più che legittime) che lo accompagnassero a una morte senza dolore. Inoltre la sua vita non dipendeva da sostegni, come ad esempio la ventilazione artificiale, o da terapie salvavita, altrimenti avrebbe potuto seguire la strada percorsa da Welby, rinunciare alle cure e chiedere di sospenderle.
Dj Fabo voleva – e ha avuto – una vera e propria eutanasia. Voleva, cioè, che lo stato rendesse legittima l’uccisione su richiesta del soggetto, quello che il nostro codice definisce omicidio del consenziente. Sui giornali la notizia del suicidio dell’ex dj in Svizzera ha preso il posto di quelle sui presunti problemi di accesso all’aborto, per colpa dei troppi obiettori di coscienza. Diritto ad abortire, diritto ad essere uccisi: una richiesta corale di morte apre a gran voce i tiggì e le prime pagine di quasi tutti i quotidiani. Un’onda cupa montante invade gran parte d’Europa, Italia compresa. E un’eco preoccupante arriva perfino dalla Cina, dove dopo decenni di aborti forzati e durissima politica del figlio unico, la liberalizzazione delle nascite concessa dal regime non ha portato i risultati sperati: i cinesi, assuefatti a un mondo senza bambini, di figli continuano a non farne, e il tasso di incremento demografico sembra addirittura peggiore di quello di due anni fa, quando la vecchia politica era ancora in piedi.
D’altra parte, se per decenni si mettono in atto politiche per non avere figli – mascherate da “diritti” in Europa, con la forza della dittatura comunista in Cina – favorendo una cultura “child free” (per cui i bambini sono un problema più che un dono) non ci si può stupire poi se il messaggio è ben recepito. Intanto con uno degli ultimi sbarchi a Palermo è arrivato, insieme alla sua mamma, un bambino nato da sei ore, a bordo della nave norvegese Siem Pilot: si chiamerà Destiny e di secondo nome Seabear (orso di mare), come le due scialuppe di salvataggio che li hanno soccorsi.
Una vitalità incomprimibile e un gran coraggio, da parte di una donna incinta che affronta la traversata del mediterraneo in condizioni così precarie e pericolose, nella speranza di un futuro migliore per sé e per il suo bambino. Una speranza ostinata, che sta muovendo intere popolazioni dal continente africano: persone povere ma giovani e piene di vita, pronte a tutto pur di migliorare l’esistenza propria e dei propri figli. Non basta la disperazione per spingere in mare il fiume di migranti che viene dall’Africa, a prescindere dalla fede musulmana, cristiana o meno: ci vogliono anche un fortissimo desiderio di andare avanti e la speranza nel futuro. E’ una grande forza vitale a muovere i migranti africani, un istinto che noi occidentali abbiamo in parte perduto, che forse non riusciamo neppure a capire, persi nelle nostre ossessioni per il diritto a morire.