La mossa di Alfano non è per affossare le primarie ma per ‘stanare’ il Cav.

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La mossa di Alfano non è per affossare le primarie ma per ‘stanare’ il Cav.

26 Novembre 2012

Il botta e risposta tra il Cav. a un passo dalla ridiscesa in campo (a modo suo) e Alfano che queste primarie le ha volute e le vuole, va letto in controluce, in filigrana, al netto del solito teatrino di commenti, detti e non detti, accuse e veleni annacquati nei tecnicismi-tatticismi. Perché le ragioni più profonde nel caos-Pdl del weekend contengono altro rispetto a ciò che si tende a far passare. Mediaticamente e non.

Anzitutto occorre rimettere in fila i fatti. L’ok definitivo di Berlusconi alle primarie arriva giovedì: data, 16 dicembre, macchina in moto, candidati a raccogliere le firme. Quarantottore dopo il ‘chance’ del Cav., pronto a ripensarci e a tornare in pista. Perché? Cosa è cambiato in due giorni? Nelle file pidielline la lettura ricorrente viene definita non senza ironia, con un appellativo: la ‘sindrome’ da spacchettamento; cioè l’idea che così com’è il Pdl non sia più attrattivo per l’elettorato di centrodestra; e dunque serve differenziare per colpire in un’unica direzione (la sinistra). Un’idea che a fasi alterne c’è stata e c’è ancora nelle valutazioni di Berlusconi, alla quale si aggiunge la persuasione che queste primarie non producano nulla di buono, piuttosto rappresentino un solco che si vorrebbe scavare tra il partito e il suo fondatore. E se questa è la convinzione di fondo, ben poco può aver spostato nell’uscita del Cav. lo stop del segretario Pdl alla candidatura alle primarie di persone indagate. Il messaggio non era per lui.

Ma nel botta e risposta c’è dell’altro e di più. Specialmente nel passaggio in cui Alfano dice che se Berlusconi torna in campo le primarie hanno poco senso. Non è  la sconfessione di una linea tracciata da ottobre e rivendicata nei ‘parlamentini’ a Palazzo Grazioli o nei vertici a Via dell’Umiltà snocciolati in queste settimane. Semmai, nelle parole di Alfano si intravede un disegno: far uscire allo scoperto Berlusconi, sollecitarlo a decidere cosa vuol fare. Tradotto: non stop alle primarie ma evitare che il Cav. metta in campo la sua lista forzitaliota, o proceda allo spacchettamento del partito che ha fondato con la svolta del Predellino. Per questo dire se ti candidi tu le primarie non hanno senso perché se ci sei, sei tu il leader di tutti noi, equivale a neutralizzare il rischio di una polverizzazione del Pdl, un partito che ha classe dirigente, territorio e voti e che solo rilanciandosi con un’offerta politico-programmatica chiara e credibile può sperare di riconquistare il consenso dilapidato negli ultimi tre anni.

Insomma, la mossa di Alfano va nella direzione opposta a quella che molte anime belle pidielline si sono affrettate a stigmatizzare, cavalcando l’onda lunga di ‘primarie o morte’. E del resto, Alfano sulle primarie ci si è speso molto, sa che sono l’unico modo per riconnettersi con la gente, per riportare gli elettori alla partecipazione, per far sì che le scelte si facciano dal basso e non più e non solo dall’alto rimettendo al centro il dibattito sui programmi. Come può, adesso rinnegare ciò che ha proposto e che gli organismi del partito hanno approvato all’unanimità? Tuttavia, di fronte all’idea che il Cav. risquaderni tutto nuovamente, il segretario mette in cima alle priorità il partito e la sua esistenza rispetto al rischio della sua dissolvenza.

Un’ultima questione, non meno rilevante sulla quale il Pdl e lo stesso Berlusconi dovrebbe riflettere seriamente. La ‘lezione’ di Renzi sembra non essere passata. In che senso? Al di là di chi vince e chi perde la sfida del ballottaggio, il sindaco di Firenze è e resta il protagonista delle primarie del centrosinistra perché ha rianimato il dibattito in un Pd rinchiuso nelle logiche di apparato, quelle che all’inizio dicevano che lo scontro frontale tra due linee politiche avrebbe distrutto il partito (ricordate l’anatema di D’Alema?). Non c’è stata alcuna lacerazione, è successo semplicemente l’opposto. Il confronto tra due visioni è stato reso esplicito, trascinato fuori dai corridoi, dalle stanze delle nomenklature e portato nelle piazze, fisiche e mediatiche. Con un doppio risultato: occupare il dibattito pubblico per settimane coinvolgendo gli elettori.

Già, la partecipazioneo: il popolo piddì si è sentito coinvolto in una scelta chiara e netta sui contenuti, sui progetti, sulle proposte ed è questo che alla fine ha premiato (anche Bersani). In altre parole, la migliore risposta della politica delle cose da fare per il Paese all’antipolitica grillina. Esattamente ciò che dovrebbe fare il Pdl, è l’esortazione dell’ex sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella: ripartire dalla idee, dalle persone che le incarnano, dalla gente che su queste si confronta e sceglie.

Considerazione finale: lo stile Renzi non è altro che lo stile Berlusconi d’un tempo,  quello che ruppe i bizantinismi del teatrino della politica versione prima repubblica parlando direttamente all’elettorato. E’ paradossale che oggi proprio il Cav. non comprenda fino in fondo che il metodo vincente è proprio questo: dibattito limpido, esplicito, trasparente attraverso le primarie.