La musica contemporanea è brutta

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La musica contemporanea è brutta

La musica contemporanea è brutta

05 Gennaio 2010

Probabilmente, si. O no? Certo, è facile parlarne male, ci hanno provato quasi tutti. Allora, teniamo il titolo in sospeso e facciamo qualche considerazione.

Certo che è brutta, noiosa e soprattutto inutile quando ripete formule, suoni e silenzi, che erano sperimentali e trasgressivi cinquant’anni fa (Cage, Nono e compagnia) e adesso sono semolino stracotto. E ciò che, oltre che brutta, la rende anche antipatica è il sussiego con cui a volte  viene presentata. E’ che la Musica Contemporanea è una specie di chiesa, formata da sacerdoti che celebrano le loro funzioni principalmente per sé e per pochi fedeli, e come non si ride durante una messa, così non si può non solo ridere, ma neanche osare divertirsi a un concerto di MC.

L’esecutore deve per forza recitare un ruolo, anche discutibile, o magari ci crede, chissà (tanto è vero che qualche volta è meglio l’ascolto dei nastri senza nessuno sul palco). Certo che vedere un pur bravissimo pianista come Francesco Prode al concerto del 19 novembre a S. Cecilia battere una nota e poi immobilizzarsi con aria ispirata per mezz’ora mentre il computer cattura la nota e la risputa in cento ribattimenti diversi è interessante la prima volta, un po’ meno la seconda, poi l’attenzione cala rapidamente verso il niente; proprio per questo le esecuzioni spesso sembrano troppo lunghe. Il problema è che quando non succede un gran che di coinvolgente a livello primario (dato che l’uso della melodia è malvisto, quello dell’armonia ancora di più, un eventuale compiacersi delle combinazioni sonore è borghese e da respingere) allora rimane solo l’ascolto colto, professionale, e la partecipazione diventa problematica.

Ma, e l’emozione? In quella stessa serata, il 19, in cui veniva assegnato da Nuova Consonanza il premio Evangelisti, uno dei giurati, commentando il brano vincitore, ci ha sussurrato: “Abbiamo scelto il male minore; ma troppo rumore, e poca dinamica”, intendendo il muoversi delle emozioni, del tutto assente. Può esserci arte senza emozione? Boh.

D’altra parte un compositore presente domenica 21 novembre, sempre alla sala di S. Cecilia, per l’ultimo concerto dell’International Electroacoustic Music Festival, rivendicando la messa al bando di qualunque traccia melodica o ricerca armonica dichiarava accettata nel suo brano unicamente la presenza di suoni, naturalmente organizzati. Che sono comunque musica, parola di Cage, fin dagli anni cinquanta. (Cage dichiarava anche di gradire le risate più degli applausi durante le sue esecuzioni).

Perché una sequenza elettronica sintetica, quindi di origine tutta artificiale, o elaborata, cioè basata su suoni reali modificati, ha certamente una grande suggestione (probabilmente dicendo quanto segue commettiamo sacrilegio), ma uguale a quella che può avere una colonna sonora di soli effetti che evoca, con i rumori della realtà, ambienti diversi, dal bosco al mercato, al sogno. Bisogna tener presente che, fatta com’è di elementi non raggruppabili in forma di tema musicale, ha da durare poco, altrimenti annoia. Fondamentale quindi la brevità delle composizioni.

Intendiamoci, la sperimentazione di strumenti e suoni nuovi (elettronica compresa) è di grande interesse, ed è la strada che poi porta al progresso. Se Cristofori non si fosse messo a giocare con quell’aggeggio che prima si è chiamato forte-piano, poi pianoforte, staremmo ancora con cembali e spinette.

In conclusione, siamo qui per dichiarare, forse contraddicendoci e rischiando l’ovvio, ma le cose stanno proprio così, che ci arriva molto più piacere da un brano di MC costruito (bene) su una serie di suoni non melodici, sperimentali, anche random se capita, che dalle musiche accademiche come struttura e come intenzione, ma inutili (tipo, tanto per non fare nomi, quelle di Einaudi). D’altra parte dobbiamo anche ammettere che la musica assoluta di Morricone, appartenente al genere su cui abbiamo chiacchierato fino ad ora, e da lui fortemente difesa, è molto meno bella di quella sua, tradizionale, destinata al commento delle immagini, che gli ha dato fama meritatissima.

A questo punto, che facciamo con il titolo? Teniamo questo che c’è, o lo cambiamo? Boh.

L’archivio del Cavalier Serpente, o meglio la covata di tutte le sue uova avvelenate, sta al caldo nel suo blog. Per andare a visitarlo basta un click su questo link: http://blog.libero.it/torossi