La Nato gela Mosca ma l’Europa non sa ancora bene che posizione prendere
20 Agosto 2008
Il vertice Nato convocato in seguito alla guerra russo-georgiana si è concluso con un compromesso sulla posizione da tenere nei confronti di Mosca. I paesi europei si trovano infatti in bilico tra due opzioni, quella dell’appeasement e quella del confronto, e devono ancora scegliere che fare di fronte alle richieste georgiane e alle minacce russe.
Il vertice dei Ministri degli Esteri dei paesi della Nato ha adottato un documento finale che non condanna con decisione Mosca per la dura occupazione della Georgia, in corso ormai da più di una settimana, ma si limita a deplorare l’uso sproporzionato della forza e a richiamare il governo russo agli impegni presi, in primo luogo il ritiro delle truppe dal paese caucasico. Non vengono inoltre presi i provvedimenti di ritorsione paventati dalle delegazioni di Stati Uniti e Gran Bretagna, quali ad esempio la sospensione del Consiglio Nato-Russia. Le riunioni di tale Consiglio sono state però di fatto congelate fino a quando Mosca non ritirerà le sue truppe dalla Georgia. Inoltre è stata creata una Commissione Nato-Georgia che terrà consultazioni costanti, un passo che potrebbe facilitare l’accettazione della richiesta di Tbilisi di essere ammessa nella Nato. Si tratta di un gesto dal significato più che altro simbolico, che istituisce una partnership privilegiata – come quella già esistente tra Nato e Ucraina – ma che non determina la decisione sull’avvio per Tbilisi di un Membership Action Plan (MAP) che nel prossimo futuro porti la Georgia all’interno dell’Alleanza Atlantica. In quest’ottica, è molto importante il fatto che il cancelliere tedesco Angela Merkel abbia dichiarato che “la Georgia diventerà un membro della Nato se lo vuole, e lo vuole”. La Germania nel vertice Nato di questa primavera era stato con la Francia il principale oppositore dell’avvio di un MAP con Tbilisi, sostenuto invece da Stati Uniti, Gran Bretagna e da tutti i paesi dell’Europa orientale. Il radicale cambiamento della posizione tedesca, se sarà confermato nei prossimi mesi, potrebbe aprire la strada all’ingresso della Georgia nell’Alleanza, evento che la Russia vuole assolutamente evitare.
Prima del vertice Nato si è inoltre registrata un’altra importante reazione in campo occidentale. La Polonia ha siglato con gli Stati Uniti un accordo preliminare per la costruzione dello scudo-anti missile americano, impegnandosi a ospitare una batteria di missili intercettori sul proprio territorio. La Repubblica Ceca dovrebbe ospitare un’istallazione radar parte integrante dello scudo, e il sistema sarà integrato nella difesa missilistica della Nato. Il progetto nasce ufficialmente per prevenire la minaccia dei missili iraniani dotabili di armi nucleari, ma di fatto rappresenta una forte integrazione militare e politica di Varsavia e Praga nella comunità atlantica in chiave anti-russa. La Polonia inoltre, alla luce delle reiterate minacce di Mosca verso i paesi intenzionali a partecipare allo scudo anti-missile, ha ottenuto un sostanzioso aiuto americano per la modernizzazione delle proprie forze armate. Probabilmente, vedendo i carri armati russi arrivare nei pressi di Tbilisi senza che Europa e Stati Uniti muovessero un dito, i governi polacco e ceco si sentono più sicuri con un’istallazione militare americana sul proprio territorio nazionale. Chi giudica la loro una paura eccessiva dovrebbe pensare alla “normalizzazione” della Cecenia effettuata manu militari dal Cremlino negli anni scorsi con violenze indicibili, alle minacce contro Ucraina e Polonia, agli attacchi telematici contro l’Estonia. Proprio pensando a questi precedenti Kiev ha in questi giorni chiesto una più stretta cooperazione con la Nato, a cominciare dall’integrazione delle proprie strutture radar con quelle alleate. Il Cremlino ha risposto duramente a tali sviluppi, minacciando di nuovo di puntare i missili nucleari russi contro l’Europa.
Quanto avvenuto in Europa di fronte alla chiara strategia russa appare contraddittorio, perché di fatto lo è. Mosca ha brillantemente raggiunto tutti i suoi obiettivi tattici: punire la Georgia per il suo avvicinamento all’Occidente distruggendone le forze armate e le infrastrutture civili; rafforzare il controllo sulle regioni separatiste georgiane di Abkhazia e Ossezia del Sud; arrivare a un passo dall’oleodotto Baku-Tilisi-Ceylan che attraversa la Georgia, l’unico che ancora sfugge al suo controllo; evidenziare le divisioni politiche nella comunità transatlantica. Tuttavia, con l’invasione della Georgia la Russia non ha ancora raggiunto il suo obiettivo strategico, cioè ristabilire l’egemonia sulle ex repubbliche sovietiche e consolidare il suo monopolio sulle forniture energetiche. Infatti il colpo di mano russo ha generato paura in Europa, a Tbilisi come a Kiev, a Varsavia come nel Baltico. Ma alla paura sono seguite reazioni in parte inaspettate: i governanti delle tre repubbliche Baltiche e della Polonia sono volati a Tbilisi per testimoniare la loro solidarietà al presidente georgiano Saakashvili, Varsavia ha firmato l’accordo sullo scudo anti-missile americano, e Ucraina e Georgia hanno rinnovato la loro richiesta di aderire alla Nato.
L’azione di Mosca ha destato paura anche nella “vecchia Europa”: non certo paura di un’invasione, ma di veder deteriorare i rapporti con un fornitore energetico fondamentale e con un player internazionale importante su questioni come il nucleare iraniano. Questa paura europea è in parte infondata, per due ordini di motivi. In primo luogo, perché Mosca ha da perdere quanto l’Europa da un’eventuale sospensione delle forniture energetiche, in quanto non può sostituire le esportazioni europee per con quelle verso altri mercati – in primis quello cinese – perché mancano ancora le pipelines necessarie. Cosa può fare Mosca in questo campo che non ha già fatto negli anni scorsi, quando ha sospeso le forniture energetiche all’Europa attraverso l’Ucraina? In secondo luogo, perché il contributo della Russia sulla questione iraniana finora è consistito sostanzialmente nel bloccare le sanzioni economiche contro l’Iran in discussione nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e nel fornire materiale e tecnologia nucleare a Tehran. Cosa può fare Mosca in questo campo più che sabotare come ha fatto finora le pressioni occidentali sull’Iran? Questa paura europea è però alimentata dall’atteggiamento mentale di chi sentendosi insicuro sovrastima la forza della controparte, di chi non volendo ricorrere alla forza spera nell’altrui benevolenza, di chi scambia le speranze per realtà, di chi in cambio di piccoli vantaggi nel breve periodo accetta gravi perdite nel lungo periodo. In poche parole è lo stesso atteggiamento mentale, lo stesso spirito, dei governanti europei che nel
In cosa consisterebbe una politica di confronto? Per definirla è opportuno partire dall’identificazione degli interessi e degli obiettivi europei di lungo periodo, per articolare poi i modi per perseguirli. Se si ritiene un interesse dell’Europa avere libero accesso alle risorse energetiche dell’Asia centrale al di fuori del monopolio russo, si deve integrare nella comunità atlantica una Georgia sovrana che ospita attuali e futuri oleodotti caucasici. Se si ritiene che l’allargamento a est della Nato abbia giovato alla sicurezza dell’Europa rendendo impossibile il ritorno di una “cortina di ferro” sul continente, si deve completare questo processo fino ai confini della Russia per stabilizzare definitivamente lo spazio di sicurezza europeo. Se si ritiene un obiettivo dell’Ue l’agire come un attore internazionale di rilievo si deve smettere di cedere ai ricatti dell’autocrazia di turno. Confrontarsi con la Russia non vuol dire iniziare una nuova Guerra Fredda, quanto perseguire interessi strutturali anche a costo di veder peggiorare le relazioni con la controparte, esattamente la stessa cosa che la Russia fa da diversi anni con l’Europa in Ucraina e Georgia, esattamente ciò che l’Occidente ha fatto negli anni ’90 con l’allargamento all’est europeo della Nato e dell’Ue. I paesi membri dell’Alleanza nei prossimi mesi dovranno decidere se avviare o no il MAP con Tbilisi, e tale scelta sarà il banco di prova decisivo della loro capacità di perseguire i propri interessi strutturali sulla scena internazionale.
Nel caso della Georgia, alle ragioni della realpolitik si aggiungono motivazioni di ordine morale rese ancora più forti dalle scene cui si è assistito durante l’occupazione russa. In questi giorni ricorre il quarantennale della fine della Primavera di Praga, quando i carri armati di Mosca invasero un piccolo stato sovrano per porre fine al suo cammino democratico e ristabilire su di esso l’egemonia del Cremlino. La Storia a volte è molto chiara nel ripetere le sue lezioni, il problema è avere il coraggio di impararle.