La Nato lancia la guerra ai narcos, Italia e Germania non partecipano

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La Nato lancia la guerra ai narcos, Italia e Germania non partecipano

18 Ottobre 2008

La lotta al narcotraffico entra ufficialmente a far parte della strategia della Nato per la stabilizzazione dell’Afghanistan. Dall’insediamento del governo di Hamid Karzai nel 2004 ad oggi, le forze di sicurezza afghane non sono riuscite da sole a fermare la costante crescita della produzione di oppio, soprattutto nel sud del Paese, e per far fronte a questa spirale negativa il Ministro della Difesa afghano, Abdel Rahim Wardak, ha chiesto ai membri della Nato “di sostenere – insieme alle forze afghane – gli sforzi nella campagna antinarcotici”. 

Così, durante il vertice dei Ministri della Difesa dell’Alleanza Atlantica, riuniti a Budapest il 9-10 ottobre, si è raggiunto un accordo di nove punti sulla lotta al narcotraffico. Questa potrà essere condotta solo su richiesta afghana e di concerto con le autorità locali, cui spetta la leadership dell’intervento; allo stesso tempo, saranno i singoli Paesi della Nato a decidere se dare o meno il proprio contributo. Queste due clausole sono state volute fortemente da Italia e Germania, i cui contingenti militari sono attualmente dispiegati nell’est e nel nord dell’Afghanistan, dove la coltivazione di oppio è andata via via diminuendo. 

L’accordo prevede che la missione ISAF allarghi le sue operazioni contro i guerriglieri e le infrastrutture dei narcotrafficanti, inclusi i laboratori di lavorazione, le reti di distribuzione e coloro che favoriscono l’azione dei talebani, senza però colpire i contadini che coltivano l’oppio. Il tutto previa autorizzazione del governo afghano. Proprio su quest’ultimo aspetto si sono registrate della divisioni in seno alla Nato. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna proponevano la possibilità di un intervento diretto dei militari Nato nel contrasto al traffico di droga, mentre l’Italia, la Germania, la Francia, la Spagna ed altri Paesi hanno mostrato il loro scetticismo nei confronti di azioni dirette, senza il pieno coinvolgimento del governo di Kabul. 

Come dichiarato dal Ministro della Difesa italiano, Ignazio La Russa, “il senso complessivo del testo risponde perfettamente alle richieste fatte da Italia e Germania. Fin dall’inizio, infatti, abbiamo sostenuto che l’intervento nei confronti del narcotraffico poteva avvenire solo su richiesta del governo afghano e di concerto con le forze afghane, senza modifiche all’attuale piano operativo della missione e in linea con il mandato dell’Onu. E questo alla fine è il testo che è passato”. 

In aggiunta il Ministro italiano aveva lanciato la proposta di affidare la lotta al narcotraffico ai cosiddetti Omlt (Operational mentor and liason team), cioè ad alcune unità di istruttori militari Nato – seppur non italiani – con il compito di addestrare l’Esercito afghano. Come hanno riferito alcune fonti, la proposta italiana di fatto è stata accettata dagli Alleati, “sebbene gli Omlt non vengano citati esplicitamente nel testo”. 

Le Nazioni Unite hanno calcolato che il 98% della produzione di oppio avviene nella regione sud e sud-occidentale del Paese. La sua coltivazione ha registrato un picco del 66% solo nell’area di Helmand, dove la guerriglia talebana è maggiormente attiva e le forze afghane non riescono a controllare il territorio. Il giro d’affari per la guerriglia talebana si attesterebbe intorno agli 80-100 milioni di dollari l’anno e gran parte di questi proventi viene utilizzato per l’approvvigionamento bellico e la propaganda anti-governativa.  

La proposta dell’Italia e della Germania di non partecipare  alla lotta al narcotraffico non ha comunque comportato il disimpegno da parte di altri Paesi. Come dichiarato dal Ministro Ignazio La Russa “uno dei motivi di tale scelta è che questi tipi di interventi comincerà dal sud, dove non ci sono militari italiani e dove sono invece schierate soprattutto truppe statunitensi e britanniche”. Nell’ovest del Paese, l’area sotto la responsabilità italiana, in questi ultimi anni la coltivazione di stupefacenti è diminuita dell’82%, quindi un approccio più muscoloso potrebbe comportare il rischio di mettersi in contrasto con la popolazione locale in gran parte sciita.  

Il Ministro La Russa inoltre ha voluto sottolineare che  “nella nostra zona, dove è meno vistoso il fenomeno, preferiamo operare per il momento con altri metodi, anche con la moral suasion: comprendiamo però che in aree come il sud vi sia la necessità di un contrasto più forte e, quindi, non ci mettiamo di traverso alla volontà di altri Paesi di intervenire, a patto che ci sia una richiesta esplicita del governo afghano e che le forze del contingente internazionale operino d’intesa con quelle afghane”. 

Gli Usa e la Gran Bretagna – insieme ad Olanda, Canada ed Australia –  sono i Paesi che hanno i propri contingenti dispiegati nel sud del Paese e per questo sono quelli più interessati a stroncare i collegamenti tra talebani e narcotrafficanti. Per gli analisti della Banca Mondiale il rischio maggiore è che si stia andando verso la formazione di un vero e proprio narco-stato frammentato nell’area a sud del Paese, in cui narcotrafficanti e insorti controllano i vari distretti provinciali attraverso loro uomini o membri governativi corrotti. 

Per superare le possibili complicità di membri governativi o delle forze di sicurezza colluse con i trafficanti di droga, gli Stati Uniti volevano evitare che le operazioni  di contrasto al narcotraffico venissero attuate solo con il placet di Kabul. Tali timori erano stati anche lanciati indirettamente alcuni giorni prima del vertice di Budapest attraverso il New York Times. Come riportato dal quotidiano statunitense, secondo un gruppo di funzionari statunitensi il fratello del Presidente afghano Hamid Karzai sarebbe sospettato di aver partecipato a un traffico di eroina, e che nonostante il Presidente Karzai ne fosse al corrente, non avrebbe però mai fatto nulla per fermarlo. 

Le dichiarazioni dei funzionari statunitensi si inseriscono anche in un momento in cui si fanno avanti le ipotesi di possibili aperture negoziali con i talebani. Per Hamid Karzai, che si vuole ricandidare alle elezioni presidenziali del prossimo anno, la sua  reinvestitura non è per nulla sicura. La prospettiva di una bassa affluenza alle urne ed il basso sostegno di cui gode il governo – spesso accusato di corruzione – metterebbe a rischio la sua rielezione. Quindi Karzai ha bisogno di un compromesso che permetta alle aree a maggioranza pashtun di votarlo. 

Le elezioni presidenziali del prossimo anno e la lotta al narcotraffico sembrano essere così legate a filo stretto sui cui risultati pende la stabilizzazione dell’Afghanistan.  

Fino ad ora lo Stato è apparso impotente nell’arrestare i capi dei 25-30 gruppi criminali che controllano il traffico di droga nel Paese. Il nuovo compito della Nato sarà quello di contrastare il potere criminale che foraggia i talebani e fomenta la spirale di violenza ed insicurezza che permane nelle regioni meridionali ed orientali del Paese.   

Affinché tale obiettivo sia raggiunto, oltre a convincere i contadini a trovare un’alternativa alla produzione di oppio, bisognerà coinvolgere maggiormente i Paesi confinanti, in primis il Pakistan. Rafforzando in questo modo la collaborazione tra la Nato e le varie agenzie antidroga nazionali ed internazionali, con azioni coordinate miranti alla cattura dei narcotrafficanti oltre che alla distruzione dei depositi e dei laboratori clandestini – sparsi in gran parte nel sud e nell’est del Paese – dove si producono le sostanze chimiche necessarie per la trasformazione di oppio in eroina.

Questi sono i principali problemi da affrontare, perché è dai risultati di queste strategie che dipende non solo la stabilizzazione dell’Afghanistan e la lotta ad al Qaeda, ma anche il futuro stesso della Nato.