La NATO, orfana degli Usa, riuscirà a sconfiggere Gheddafi?
09 Aprile 2011
Mentre in Libia tra scontri e gente che fugge la battaglia continua a ritmo serrato con le forze fedeli a Muammar Gheddafi che avanzano minacciosamente in direzione della zona est di Misurata, sale la tensione tra l’Alleanza atlantica e i ribelli libici. Dopo il “non abbiamo intenzione di chiedere scusa” dell’ammiraglio Russell Harding, la NATO fa marcia indietro, per bocca del segretario generale Anders Fogh Rasmussen, scusandosi per le vittime causate da un raid aereo dell’Alleanza su una colonna di ribelli 48 ore fa a Brega, nell’est della Libia.
Quanto al fronte militare, se Harding ha definito “fluida” la situazione, a dire l’esatto contrario, invece, ci ha pensato giovedì sera il generale Carter Ham, comandante dello US Africa Command, parlando al Congresso Usa, definendo la situazione in Libia “di stallo” tra le forze dei ribelli e quelle pro-Gheddafi.
Lo scenario delle forze alleate in territorio libico, insomma, è sempre meno chiaro, basta fare riferimento alla cronaca degli ultimi due giorni. Quarantotto ore fa la Germania, che si era tirata fuori dalle operazioni belliche, ha annunciato che il Paese invierà le navi della Marina tedesca per il trasporto di profughi o per scortare i rifornimenti di beni alimentari e medicinali. Sempre dagli ambienti NATO arrivano pressioni sull’Italia affinché modifichi le modalità della sua partecipazione alla missione, suggerendo l’esecuzione di bombardamenti.
In mancanza di una linea direttrice chiara si aprono molti interrogativi sull’effettiva capacità delle forze sotto comando Nato di vincere il conflitto contro le truppe di Muammar Gheddafi, soprattutto dopo che il ritiro delle forze statunitensi dalle operazioni belliche in Libia, che era stato preannunciato la settimana scorsa dall’Ammiraglio Mike Mullen, capo degli stati maggiori riuniti, è divenuto operativo.
Se sul piano strettamente militare, come hanno sottolineato a Bruxelles fonti dell’Alleanza atlantica, gli europei avrebbero, facendo uno sforzo, potenza di fuoco aerea sufficiente per bombardare le forze del Raìs senza il supporto americano, le singole realtà politiche e i caveat posti da alcuni Paesi impediscono al momento di disporre di forze aeree sufficienti a mantenere una pressione costante sulle truppe di Gheddafi che si sono ‘fatte la corazza’ dopo i raid dei giorni scorsi, sempre più spesso i carri armati e i mezzi pesanti dell’esercito libico si nascondono nei grandi centri abitati, mimetizzandosi, mentre ad essere mandati in avanscoperta sono i pick-up dei lealisti, più difficili da intercettare e colpire.
Per compensare l’apporto fornito dai mezzi americani – che dall’inizio dell’intervento internazionale hanno in realtà sganciato i tre quarti delle bombe e dei missili caduti sul territorio libico e il 95 per cento dei bombardamenti missilistici effettuati da navi e sottomarini – i Paesi interessati dovranno moltiplicare le missioni e sganciare più munizioni.
Posto che gli Usa si sono detti disposti a impiegare comunque i loro cacciabombardieri su richiesta della NATO e a mantenere operativi aerei radar, da rifornimento e ricognizione per appoggiare i velivoli alleati, l’operazione Unified Protector della NATO dispone di 213 aerei, di cui 90 targati Usa, come scrive Gianandrea Gaiani su Panorama, dei 123 aerei rimanenti i velivoli da combattimento sono un centinaio ma alcuni Paesi limitano l’impiego dei loro jet solo al pattugliamento della no-fly zone e i 16 aerei Tornado, Typhoon e Harrier italiani, gli 8 Gripen svedesi, i 7 F-16 turchi e i 6 F-18 spagnoli non vengono infatti utilizzati per colpire le truppe del Colonnello.
Senza contare che per quanto riguarda gli attacchi da terra il numero dei jet a disposizione (una quarantina tra quelli francesi, britannici, canadesi, danesi, belgi e norvegesi) è insufficiente per assicurare un appoggio di fuoco continuo agli insorti nuovamente in difficoltà a vantaggio delle truppe del colonnello.