“La NATO sarà la cerniera strategica di sicurezza fra Oriente e Occidente”
12 Novembre 2010
Il ministro Franco Frattini ha concesso una preziosa intervista all’Occidentale, che fa il punto sulla politica estera dell’Italia e la strategia del nostro Paese a ridosso del prossimo Vertice di Lisbona. Frattini prende le mosse dai rapporti stabiliti fra Roma e Mosca, prosegue interrogandosi sul ruolo e l’identità dell’Alleanza Atlantica, espone con chiarezza la proiezione strategica della Farnesina verso i Balcani e davanti alla potenza turca. Con una riflessione finale sul nostro corpo diplomatico e il peso che l’Italia ha in Europa.
Ministro Frattini, sin dai giorni di Pratica di Mare l’Italia ha chiesto l’integrazione della Russia nel sistema di sicurezza euro-atlantico. Francia e Germania sembrano aver colto l’intuizione berlusconiana. Cosa dirà, e soprattutto farà, l’Italia a Lisbona, alla luce del fatto che può rivendicare una qualche “paternità” sul dossier euro-russo?
Con Francia e Germania abbiamo attivamente lavorato lo scorso anno per rafforzare la struttura cooperativa del Consiglio NATO-Russia e continueremo a farlo in futuro. Con il “reset” dei rapporti fra Mosca e Washington vi è la concreta speranza che si avvertano i benefici anche sul piano multilaterale facendo fare un salto qualitativo ai lavori del Consiglio NATO-Russia (NRC). E’ l’impostazione che il Segretario Generale Rasmussen ha pienamente sposato, e su questo l’Italia non potrà che sostenere con vigore la sua azione, decisa e lungimirante.
Del resto abbiamo avuto un ruolo significativo nel sostenere l’opportunità di un Vertice del NRC a Lisbona che fissi una partnership duratura con Mosca anche nel riconoscimento delle divergenze esistenti , a cominciare dalla Georgia.
La sicurezza in Europa non sarà mai veramente tale senza ingaggiare Mosca: il coinvolgimento di Mosca nella difesa missilistica è uno dei terreni più promettenti di cooperazione con la Russia. Dobbiamo rimettere al centro del dialogo gli elementi di fiducia e di trasparenza reciproca sia che si parli di allargamento sia che si parli di sicurezza collettiva in Europa. Ci aspettiamo che il messaggio del Vertice NATO-Russia di Lisbona vada in questa direzione. Con la Russia condividiamo, tanto noi quanto la NATO, interessi strategici, non solo in Europa: evitare giochi a somma zero è quindi un imperativo per tutti.
La NATO è nata in funzione antisovietica più di cinquant’anni fa, in un mondo che non esiste più e sembra ormai inadatta a far spazio a nuovi potenziali membri come la Russia. Non sarebbe ora di far nascere un nuovo organismo più includente? E l’Italia ha un pensiero strategico a riguardo?
La NATO è, per definizione e statuto, un’associazione di Stati libera ed aperta. Chiunque voglia – e possa – contribuire alla sicurezza collettiva, continentale ed euro-atlantica, può aspirare a farne parte. Russia inclusa. Nulla lo vieta, nulla lo impedisce. Quanto alle condizioni politiche, credo che la piena transizione all’era post-sovietica della Russia sia una realtà con cui la NATO ha cominciato a fare i conti da oltre un decennio. A Lisbona ribadiremo, in più, che non vediamo e non dobbiamo vedere nella Russia un avversario. Su questa base dobbiamo esser capaci di collaborare in futuro senza freni inibitori, ma – ripeto – con fiducia nelle reciproche capacità.
Quanto ad un nuovo “organismo” alternativo per gestire la sicurezza in Europa, non credo che vi si possa pensare in termini di concreta e realistica prospettiva politica. Smantellare l’Alleanza Atlantica per un qualcosa di astratto da ricostruire non è una prospettiva realistica . Non si tratta soltanto di un problema di inclusione ma è anche di identità. La NATO ha assumento un ruolo da protagonista nella sicurezza di fronte alle ‘nuove sfide’, a cominciare dall’Afghanistan. Il suo ruolo è insostituibile.
Piuttosto è vero che la NATO da sola non può risolvere queste sfide e che c’è bisogno di una partnership sempre più stretta dell’Alleanza con l’Unione Europea e con altri partners non membri dell’Alleanza. Più che in termini di “bastione”, come abbiamo fatto per decenni, dovremmo, penso, abituarci ben presto – e un po’ tutti – a ragionare in termini di una NATO quale possibile cerniera strategica di sicurezza fra Oriente ed Occidente. Ed in questo disegno Mosca è chiamata a fare la sua parte non in contrapposizione ma insieme all’Alleanza Atlantica.
L’unico aspetto “positivo” degli scontri al Marassi di Genova è stato quello di aver riportato in prima pagina le negoziazioni Serbia-UE. L’Italia dice: Serbia dentro. “Inclusività a ogni costo” a parte, non sembra che l’Italia sia capace di formulare un’organica Ostpolitik sui Balcani. Ci vuole smentire?
E’ un’affermazione smentita dai fatti : la nostra politica verso i Balcani è quantomai organica e multidimensionale. Molto schematicamente, gli elementi portanti della nostra strategia balcanica possono essere individuati nella crescente strutturazione istituzionale dei legami bilaterali, con importanti corollari a) nel dialogo tra società civili, b) nella spinta alla cooperazione regionale e c) nell’azione volta ad accelerare il processo di integrazione euro-atlantica dei Balcani Occidentali, d) nel rafforzamento dei legami economici.
Proprio con l’obiettivo di accelerare e dare concretezza alla prospettiva europea della regione balcanica ho presentato l’anno scorso un piano in otto punti molto specifici per sostenere le intense dinamiche che da tempo caratterizzano il nostro interscambio commerciale con i Balcani che, nonostante la recente crisi economico-finanziaria, ci vede protagonisti in tutti i Paesi dell’area. Una Unione Europea che includa anche i Balcani Occidentali (e la Turchia ) non è solo interesse dei Paesi della regione – come semplicisticamente molti tendono ad affermare – ma costituisce il necessario presupposto per un’Europa che si vuole per quanto possibile coesa, politicamente ed economicamente, dall’Atlantico al Mar Nero.
La fitta rete di legami bilaterali, alcuni dei quali rafforzati da Vertici intergovernativi (Serbia e Albania) o da Comitati dei Ministri (Slovenia e Croazia), rappresenta la necessaria trama di fondo per quello che costituisce un asse portante della nostra strategia balcanica, ovvero il rilancio della cooperazione regionale: l’Iniziativa Centro-Europea (INCE) e l’Iniziativa Adriatico-Ionica (IAI) – in seno alle quali l’Italia svolge un riconosciuto ruolo trainante – ne rappresentano lo strumento principale. Ambedue gli organismi rappresentano oggi potenziali strumenti catalizzatori di risorse multilaterali per progetti nella regione: tale funzione deve in prospettiva essere adeguatamente sviluppata. L’Italia, insieme a Grecia e Slovenia ed in collaborazione con la Commissione Europea e con il Comitato delle Regioni., ha inoltre avviato la promozione di una Strategia Adriatico-Jonica, d’intesa con gli altri cinque Paesi rivieraschi e la Serbia.
«Last but not least» la concretezza e l’efficiacia della nostra Ostpolitik verso i Balcani ci è riconosciuta da ciascun leader dei Paesi dell’area che incontro con grande frequenza. Non si tratta soltanto di riconoscenza nei confronti dell’Italia ma perchè vengono comprese le potenzialità di una visione di integrazione a medio termine in grado di garantire benessere e stabilità dell’area.
Recentemente Erdogan ha presenziato il quindicennale del massacro di Srebrenica. Ad una Turchia emergente dal punto di vista economico corrisponde un neo-ottomanesimo spesso allarmante, anche nei Balcani. Lei che appare un turco-entusiasta, non crede sia ora di cominciare a pensare ad una qualche forma di contenimento strategico nei confronti di Ankara?
Non condivido l’allarme per la politica di Ankara verso i Balcani occidentali , al contrario abbiamo con la Turchia lo stesso interesse a stabilizzare i Balcani Occidentali. L’Italia guarda con particolare attenzione alla politica balcanica turca volta a combinare elementi tradizionali, come la vicinanza geografica e culturale, con scelte innovative rispetto al passato volte a promuovere relazioni di buon vicinato.
La “diplomazia triangolare”, portata avanti sia nei confronti di Serbia e Bosnia che verso la stessa Bosnia e la Croazia, alimenta un ritrovato clima di cooperazione regionale, dopo le tragedie degli anni Novanta. In Bosnia-Erzegovina, in particolare, Italia e Turchia agiscono congiuntamente per l’obiettivo di mantenere l’integrità territoriale e l’assetto multietnico del Paese, simbolo di millenaria convivenza tra diverse etnie e fedi religiose. In quest’ottica, abbiamo anche avviato apposite consultazioni con Ankara, ed auspichiamo che la diplomazia turca continui a operare, assieme a noi, in coerenza con la prospettiva euro-atlantica della regione. Solo tale prospettiva può consentire infatti la definitiva rottura della spirale dei particolarismi e l’entrata in un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, basato sull’integrazione e l’apertura piuttosto che sulla frammentazione e la chiusura.
Alla Turchia non va applicata una strategia di «containment» , al contrario Ankara deve far parte a pieno titolo del sistema occidentale anche attraverso la sua adesione all’Unione Europea che l’Italia appoggia attivamente. Siamo di fronte ad un Paese giovane e dinamico che sta crescendo economicamente a ritmi sostenuti e che rappresenta la cerniera tra Europa, Caucaso, Medio Oriente e Mediterraneo. Il suo contributo come promotore di sicurezza anche sotto il profilo energetico è insostituibile, la sua unica capacità di dialogo con tutto il mondo islamico medio-orientale e la sua influenza in Asia Centrale lo rende un partner essenziale per l’Europa che presto potrà anche contare su un mercato importante per le sue esportazioni.
Siamo rimasti a mani vuote sulle nomine di «peso» degli Ambasciatori del neonato servizio diplomatico della UE. Perché la Farnesina non è riuscita ad ottenere di più dall’Alto Rappresentante Ashton? E’ stata una ripicca contro la nostra Nazione per aver promosso, senza neanche spuntarla , il nome di D’Alema ?
La recente nomina di Ambasciatori europei da parte dell’Alta Rappresentante Ashton è soltanto il primo passo verso la costituzione del servizio diplomatico europeo (SEAE) e comunque andranno a Tirana e in Uganda funzionari italiani di primo piano. Si è trattato di una prima «tranche» di sedi estere, e tenendo conto della suddivisione di 1/3 ciascuno tra Stati membri, Commissione e Consiglio, ai 27 Stati membri sono spettati una decina di posti e non di più.
Non credo che l’Italia non abbia la dovuta rilevanza nelle istituzioni comunitarie : la percentuale di funzionari italiani negli organici è pari al 10.5% e negli ultimi anni c’è stata una ascesa del «middle management» più rapida che in precedenza. A livello apicale ben otto posizioni di Direttore Generale o di Vice Direttore Generale alla Commissione Europea sono occupate da funzionari italiani ed è confortante la crescita della presenza femminile. Esiste quindi un «flusso» di funzionari italiani di carriera nelle istituzioni europee che dovrebbe accrescersi nei prossimi anni. Tuttavia non siamo soddisfatti della nostra posizione a livello di «policy making» e del leggero peggioramento nelle posizioni di vertice, abbiamo bisogno di più Direttori Generali in particolare in settori cruciali delle politiche di concorrenza, aiuti di Stato e politiche fiscali.
La sfida è dunque di creare in Italia una vera e propria classe dirigente europea facendo sistema tra tutti i soggetti che gravitano intorno alle istituzioni europee a Bruxelles e le articolazioni dello Stato a livello centrale e periferico. Ministero degli Esteri, ICE, Confindustria , Camere di Commercio, insieme alle Regioni devono essere parte di un gioco di squadra che indirizzi e formi le schiere di giovani italiani che eistono e che guardano all’Unione Europea per trovare uno sbocco lavorativo.
Alla Farnesina ci stiamo attrezzando per formare i nostri diplomatici più giovani – entro i 10 anni di carriera – alle prove di selezione: una formazione a tutto campo che va dal diritto comunitario alla prassi in vigore presso le istituzioni europee. Stiamo anche identificando le posizioni che si renderanno disponibili nei prossimi anni e pianificando una strategia di formazione. I risultati si vedranno fra qualche tempo ma siamo fin d’ora sicuri di conferire al SEAE il contributo della competenza professionale della nostra diplomazia”.
Il Presidente Sarkozy e la Cancelliera Merkel vorrebbero riformare il Trattato di Lisbona per introdurre norme più adeguate su debito nazionale e deficit di bilancio. E’ parso che la Merkel, campionessa del rigore fino a poco tempo fa, abbia mollato un po’ la presa. Non crede che i tedeschi possano aver “cinicamente” realizzato che più aumenta il debito degli altri Stati – senza rientro – tanto più Berlino acquista potere relativo?
Il Consiglio Europeo del 28-29 ottobre ha definito le linee politiche della nuova architettura di governance economica dell’UE, che dovranno tradursi entro l’estate in specifiche disposizioni legislative. Siamo tutti d’accordo sulla necessità di darci regole più rigorose per assicurare il rispetto degli impegni comuni per diminuire deficit e debito e per liberare risorse per la crescita e l’occupazione. Siamo molto soddisfatti che sia stato accettato il concetto di "sostenibilità fiscale complessiva", su cui l’Italia aveva molto insistito nel convincimento che la finanza privata sia stata una delle cause principali della crisi.
Su iniziativa tedesca, le modifiche dei Trattati sono state proposte per istituire un meccanismo permanente di gestione delle crisi, ossia di assistenza ai Paesi dell’Eurozona in difficoltà nel rifinanziare il proprio debito sovrano. Tale nuovo meccanismo dovrà prendere il posto, alla scadenza nel 2013, di quello temporaneo approntato per fare fronte – con successo – alla crisi greca. E’ un elemento indispensabile per dare certezze ai mercati e garantire la stabilità dell’area Euro, su cui nelle prossime settimane si dovrà lavorare per preparare le decisioni del Consiglio Europeo di dicembre.
E’ comunque importante sottolineare che è passata la linea, difesa dall’Italia, di modifiche limitate del Trattato di Lisbona, onde evitare di riaprire il vaso di Pandora di modifiche costituzionali del testo di Lisbona che avrebbero richiesto un defatigante e dagli esiti imprevedibili processo di ratifica da parte dei 27 paesi membri dell’Ue.
Il governo italiano sosterrà la candidatura di Mario Draghi a governatore della BCE? Avete già una strategia a livello europeo per far passare il suo nome?
Certamente il governatore Draghi rappresenta una candidatura forte e le sue indubbie capacità riconosciutegli unanimemente a livello europeo sono un «atout» per l’Italia , ma siamo ancora lontani dalla decisione ed è prematuro parlare di strategia a livello europeo.