La NATO supera la prova Bucarest: sì allo scudo antimissile e più truppe in Afghanistan
07 Aprile 2008
Il mai banale Edward Luttwak ha sottolineato in un’intervista al
Messaggero come l’Alleanza Atlantica abbia finalmente riacquistato un ruolo a
quasi 20 anni dal crollo del Muro di Berlino. A farglielo ritrovare ci ha pensato
la rinascita della Russia. Il vertice di Bucarest, probabilmente il più
importante degli ultimi anni, ha suggellato il ritorno sulla scena
internazionale della NATO come alleanza per la difesa collettiva e per la
dissuasione di una minaccia esterna. Luttwak ha ragione, ma nella capitale
rumena c’è stato anche altro d’importante: l’approvazione dello schieramento in
Europa dell’Est di un segmento della difesa antimissile americana, la conferma
di un impegno di lungo periodo in Afghanistan e lo storico riavvicinamento di
Parigi. Pertanto, deterrenza sì, ma anche proiezione.
Dopo Bucarest l’Alleanza Atlantica è sicuramente più forte. Niente male
se si pensa a quello che si diceva alla vigilia del vertice e a quello che
scrivevano certi giornali, interessati solo a mettere l’accento sulle divisioni
tra gli USA e una parte dell’Europa. Le divisioni ci sono e ci saranno, ma chi
si aspettava la sbracatura ha ricevuto in cambio una prova di compattezza.
Putin l’ha capito prima delle solite penne di regime nostrane e se ne è fatto
una ragione. Anche perché le solite sponde europee, coltivate con laute
forniture di gas e petrolio, non hanno risposto come ci si poteva attendere.
Certo, per via dell’opposizione franco-tedesca-italiana, Georgia e Ucraina sono
state lasciate alla porta, ma la partita è solo rinviata e già il prossimo
dicembre si tornerà a discutere della richiesta di adesione dei due paesi al
MAP (Membership Action Plan), anticamera all’ingresso nell’Alleanza. Il
segretario della NATO Scheffer ha ripetuto durante tutto il vertice che
l’ingresso dei due paesi è solo rimandato e che alla fine si tratta di un esito
ineluttabile. Entro cinque massimo dieci anni anche Georgia e Ucraina saranno
nella NATO, con buona pace di Mosca.
E poi c’è la questione dello scudo. A Bucarest lo schieramento in
Polonia e Repubblica Ceca di un segmento della difesa antimissile americana è
stato finalmente approvato dalla NATO. Un atto che non è solo formale ma che
avrà anche delle conseguenze sostanziali sulla sicurezza dell’Europa. Perché
l’iniziativa, che finora era stata impostata su un semplice piano bilaterale
tra gli Stati Uniti e i due paesi, è adesso a tutti gli effetti rientrata
nell’alveo della NATO. Anzi, potrebbe essere addirittura collegata ad altri
programmi analoghi in corso in alcuni paesi membri, come MEADS e SAMP-T, e già
si parla di un contributo finanziario da parte degli alleati. La speranza è che
in futuro questo embrione di sistema difensivo antimissile possa essere
allargato ulteriormente e svilupparsi anche come componente navale. Esattamente
quanto sta accadendo in via bilaterale tra Giappone e Stati Uniti. Tokyo dà il
proprio contributo finanziario e l’America fornisce la componente missilistica
con capacità di intercettare i missili balistici fuori dall’atmosfera. La
Spagna possiede già navi dotate di simile capacità antimissile, altri paesi
hanno sistemi simili, e per l’industria della difesa europea non sarebbe certo
un problema integrare il tutto in un unico ombrello difensivo. Basta che ci sia
la volontà politica per farlo. Adesso questa volontà sembra, se non altro,
profilarsi all’orizzonte.
E’ evidente, come più volte sottolineato dall’amministrazione Bush, che
quello ceco-polacco sarebbe un segmento difensivo praticamente inutile nei
confronti dell’arsenale russo, ma si sa, i sistemi crescono e le tecnologie
anche, e sono molti i paesi, in tempi di proliferazione, cui farebbe gola
aggiungersi alla lista dei paesi coperti dallo scudo. A Mosca, dove da sempre
sono avvezzi alle praticità della politica di potenza e a guardare per regola
allo scenario peggiore, questo lo sanno e temono che il piccolo scudo dell’est
possa trasformarsi col tempo in un grande scudo NATO. Nel qual caso addio al
proprio peso strategico e, va da sé, a quello status che lentamente la Russia
sta cercando di recuperare. Nel vertice russo-americano che si è svolto a Soci
subito dopo il summit di Bucarest, Putin ha ribadito la sua opposizione al
progetto e rispedito al mittente, cioè Bush, l’offerta di entrare a farne
parte. Mosca difficilmente potrà aderire a un programma in cui è Washington a
tirare le fila. In gioco sono prestigio e status: le cose che più contano in
politica internazionale. E così, se Mosca può dirsi soddisfatta per il differimento
della pre-adesione di Georgia e Ucraina, sullo scudo ha dovuto subire il
ricompattamento di Europa e Stati Uniti per cui il Cremlino non può certo esultare.
A esultare invece può essere il presidente afgano Karzai. Gli alleati
hanno infatti raccolto il richiamo di Bush a un maggiore impegno contro i talebani
nel quadro della missione ISAF e, soprattutto, sembra delinearsi una strategia di
potenziamento dell’esercito afgano che potrebbe dare buoni risultati. Si poteva
fare di più, come sempre e come in tutte le cose, ma anche sull’Afghanistan la
NATO ha fatto un bel passo avanti. Merito prima di tutto della variabile Sarkò
che ha sparigliato le carte di un gioco che rischiava di veder prevalere i
signori della guerra più che i signori dei caveat
con i loro bluff. Il presidente francese ha rotto gli indugi e ha annunciato
l’invio di altri 1.000 soldati in Afghanistan, dei quali una parte, un
battaglione, verrà dispiegata nel turbolento est per rimpiazzare un’aliquota di
soldati americani che così potrà essere rischierata nel sud a dar man forte a
inglesi, canadesi e olandesi; l’altra verrà spedita a Kabul dove per un anno la
Francia prenderà il comando dell’RCC (Regional Command Capital). Un
protagonismo atlantico insolito per un paese come la Francia, ma in linea con
il new deal sarkoziano, poco incline a coltivare vecchie nostalgie golliste
anti-americane, e con il probabile rientro di Parigi nel comando militare
integrato. Dietro le quinte, inoltre, pare che anche regole di ingaggio e caveat abbiano subito qualche
aggiustamento. Sicuramente, come richiesto da tempo, i generali avranno d’ora
in avanti una maggiore flessibilità per l’impiego delle truppe sul campo. Del
resto, di questi tempi, in Afghanistan conta una cosa sola: vincere. E’ in
gioco la credibilità della NATO.