“La Norvegia deve dire no alla nuova Freedom Flottilla”
27 Maggio 2011
Si chiama “Amici di Israele” (Israel Venner) ed è un gruppo "trasversale" di 28 parlamentari norvegesi che supporta la causa israeliana nel conflitto mediorientale. Abbiamo parlato con il loro leader, Hans Olav Syversen, deputato del Partito Democratico Cristiano, della nuova Freedom Flottilla pronta a salpare e dell’atteggiamento del Paese scandinavo in merito alla questione israelo-palestinese.
Israels Venner è un gruppo formato da parlamentari del centrodestra che sostiene la causa israeliana nel conflitto mediorientale. Il gruppo è nato nel 1960. Di cosa si occupa concretamente?
Attualmente siamo 28 membri provenienti del Partito Conservatore, dal Partito del Progresso, dal Partito dei Cristiano Democratici e dai Socialdemocratici. Siamo un gruppo di sostegno e abbiamo due obiettivi fondamentali: promuovere una informazione equilibrata sulla situazione in Israele e in Medio Oriente e combattere l’antisemitismo. Il gruppo organizza incontri con persone in visita da Israele, ad esempio accademici o politici, per accrescere la nostra conoscenza sulla situazione. Il gruppo in sé non fa dichiarazioni politiche, cosa che fanno singolarmente i partiti a cui apparteniamo.
Perché è stato formato questo gruppo? E che esigenza spinge un parlamentare a farne parte?
Il gruppo è stato formato per solidarietà nei confronti dello Stato di Israele. Penso che la ragione principale per cui 28 persone hanno deciso di farne parte sia una combinazione tra il desiderio di dimostrare sostegno a Israele e un particolare interesse personale verso questi temi. Il gruppo di sostegno è uno dei più grandi in Parlamento e quello più attivo.
Tra maggio e giugno salperà la Freedom Flotilla 2, che tenterà di forzare il blocco navale di Gaza. L’anno scorso nove attivisti turchi rimasero uccisi e stavolta gli organizzatori promettono di essere ancora più numerosi. Cosa pensa di questa iniziativa?
Questa flotta sta cercando di fare un’azione politica e io sono profondamente critico nei confronti dell’IHH, l’organizzazione promotrice, che è legata a gruppi apertamente anti-israeliani. Sono d’accordo con il ministro degli Esteri norvegese che ha dichiarato che non c’è alcuna necessità umanitaria che giustifichi questa spedizione, e ha avvertito i partecipanti che potrebbero essere usati per scopi politici di cui non sono a conoscenza.
A bordo di una delle navi ci dovrebbero essere alcuni parlamentari norvegesi del centrosinistra. Anche Akhtar Chaudhry, vicepresidente del Parlamento, ha detto di voler partecipare. Come giudica la loro presenza?
Sappiamo che due o tre hanno detto di voler partecipare. Uno ha dichiarato di essere incerto fino a quando non sarà chiara la vera natura della spedizione. Chaudhry, secondo la mia opinione, se dovesse decidere di partecipare travalicherebbe le responsabilità che ha come vice presidente del Parlamento norvegese. Lui ha dichiarato di volersi imbarcare per dimostrare la sua solidarietà nei confronti della popolazione di Gaza. Io penso che ci siano modi migliori per supportare la loro causa piuttosto che cercare di promuovere una possibile provocazione, come abbiamo visto l’anno scorso.
La presenza di parlamentari del centrosinistra a bordo di navi della Freedom Flotilla 2 può essere un rischio per la Norvegia? Mi spiego meglio: il vostro paese non potrebbe apparire come un sostenitore della causa palestinese? Potrebbero esserci conseguenze politiche per la Norvegia?
Questo è esattamente il motivo per cui gli organizzatori cercano di mobilitare i politici a partecipare, e sono sicuro che la cosa sarà notata se dovesse accadere. Per ciò questi parlamentari mettono il loro governo in una posizione difficile, anche se il governo stesso ha preso le distanze dalla flotta.
Il governo norvegese non ha mai nascosto la sua vicinanza alla causa palestinese e, pur non negando mai il diritto ad esistere di Israele, è spesso critico nei confronti delle scelte politiche di Gerusalemme. Come giudica questa posizione?
È naturalmente possibile essere amici sia di Israele che dei palestinesi e anche esprimere critiche alle azioni di entrambe le parti. Tuttavia devo dire che l’attuale politica del mio paese sembra, almeno in pubblico, essere molto critica nei confronti di Israele, cosa che si riflette nella percezione di Israele stessa. È anche imbarazzante vedere la leadership di Hamas che loda la Norvegia come fosse un alleato speciale. Per me, ovviamente, la partecipazione al governo del Partito della Sinistra Socialista ha reso la posizione della Norvegia sbilanciata.
Tanti attori cercando da tempo una soluzione al conflitto mediorientale: Europa, Stati Uniti, Nazioni Unite solo per citarne alcuni. Eppure non si vede ancora una via d’uscita concreta. Che errori sono stati fatti in questi anni?
Penso che il rifiuto dei palestinesi al piano di pace che sotto la presidenza Clinton era quasi stato completato sia stato un grave errore. Il primo ministro Barak a quel tempo ha fatto tutto quello che è possibile fare per un primo ministro di Israele. La leadership divisa che c’è oggi tra i palestinesi è il maggiore ostacolo alla pace e abbiamo anche bisogno di politici israeliani che siano pronti a fare passi coraggiosi per ottenere una pace duratura.
A suo parere quale potrebbe essere la soluzione per il conflitto mediorientale?
Credo che si debba arrivare ad avere due stati con confini sicuri. La linea di confine dovrebbe essere negoziata e potrebbero essere necessari alcuni scambi di territori. Inoltre si potrebbe richiedere lo sgombero di alcuni insediamenti (così come è stato nel caso di Gaza). Una condizione indispensabile è che da parte della leadership palestinese ci sia l’accettazione del diritto di Israele a esistere. Penso che gli ultimi due discorsi del presidente Obama contengano dei punti importanti per il raggiungimento di una soluzione. In primo luogo c’è la necessità di una fiducia reciproca tra le due parti, cosa che ancora non è presente. È sulla fiducia che possono essere costruiti ponti per trovare, passo dopo passo, risposte alle domande più difficili come per le richieste di asilo e lo status di Gerusalemme.