La notte della vittoria vista da Londra

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La notte della vittoria vista da Londra

05 Novembre 2008

Per chi non è in America, il posto migliore per seguire l’Election Night è senza dubbio Londra. La sponda inglese dell’Atlantico è il punto più vicino a Washington per lingua, cultura, tradizione democratica. E la capitale inglese non ha tradito le attese, dimostrando un interesse inusuale nei confronti della sfida tra John McCain e Barack Obama. Fino alla notte elettorale, il coro dei giovani, della gente per strada, dei grandi mezzi di comunicazione è stato unanime: Obama. Il senatore dell’Illinois ha stregato anche la parte meno europea del nostro Continente. E i tantissimi americani che vivono in riva al Tamigi non hanno fatto altro che rafforzare questo stato di cose.

Rachel, 23 anni, è arrivata a Londra dal Connecticut per studiare arte medievale. Ha votato via posta tre settimane prima e non ha dubbi: “Ho votato Obama e non avrei potuto fare altrimenti. Vengo da una famiglia democratica che vive in uno Stato democratico. E poi l’elezione di Obama cambierà la storia degli Stati Uniti d’America”. La tipica ragazza bianca di buona famiglia del New England non vuole sentir parlare di John McCain, lo giudica un residuo deleterio del passato: “E’ un guerriero, non un presidente. Continua a parlare di guerre, di Vietnam, di Patria. Ma noi americani vogliamo cambiare modo di vivere. Siamo stufi di essere odiati da tutti”. E non la pensa in maniera differente Michael, californiano venticinquenne di origine messicana, a Londra per studiare regia teatrale: “Cosa ci fa McCain ancora in politica? Alla sua età si dovrebbe fare altro, pensare ai nipoti, giocare a golf. Lui poi è ricco e può farlo. Obama è il cambiamento, soprattutto per noi ispanici e per gli afroamericani. Siamo tutti con lui”. Nei giorni precedenti al voto, sarà per pura e semplice sfortuna, non abbiamo trovato nemmeno un americano sostenitore di McCain. Abbiamo incontrato, invece, chi addirittura si sente in dovere di scusarsi per il suo passaporto. E’ il caso di Richard, giovane broker della City: viene dalla Louisiana e ci tiene a precisare che si sente molto simile agli europei e che non la pensa come la maggioranza dei suoi concittadini.

Sono gli effetti della campagna denigratoria che i mass media europei hanno condotto nei confronti dell’America di George W. Bush. Persino gli stessi americani, di solito poco inclini all’autocritica, si sentono sotto giudizio. E sperano nella panacea Obama, in un non meglio precisato diluvio universale che mondi gli States dei loro “peccati”. E se consideriamo che anche i media inglesi, certamente non etichettabili come antiamericani, hanno spinto il senatore dell’Illinois, allora il quadro è completo. E alle prime battute della lunga notte elettorale, Times, Independent e Guardian già profetizzavano una vittoria sul velluto di Obama.

E quando, durante la notte, i risultati confermavano una tendenza già facilmente prevista da molti, gli americani in giro per Londra festeggiavano come un italiano dopo la vittoria dei Mondiali di calcio. L’appuntamento principale era al Light Bar, posto cool non lontano da Liverpool Street. Anche lì gli obamiani facevano la parte del leone. Uno su dieci, forse addirittura meno, era repubblicano. Gli altri urlavano e cantavano, in preda a un’euforia che sapeva tanto di liberazione. Alla nostra domanda “Ora cosa ti aspetti da Barack Obama?”, la risposta era quasi sempre la stessa: “Che ci faccia dimenticare George Bush”. Per le strade di Soho l’atmosfera era più o meno uguale. Addirittura qualche bandiera a stelle e strisce sventolava per strada. E intanto i siti dei compassati quotidiani inglesi continuavano a ostentare sicurezza, man mano che i dati varcavano l’Atlantico.

E gli inglesi? Loro, come di consueto, sembravano quasi disinteressarsi alla faccenda. In fondo continuano a pensare di essere il centro del mondo, a sessant’anni dalla fine dell’Impero, e neppure il primo inquilino afroamericano alla Casa Bianca li poteva scuotere più di tanto.